Il disco d'esordio di Lorenzza, A Lorenzza, non passa inosservato, non scorre via in modo semplice e immediato, nonostante la sua durata lampo - 23 minuti -, nonostante la freschezza che trasmette apparentemente la rapper classe 2002. Lorenzza è venuta fuori come un fungo, dal nulla, ci siamo accorti di lei all'improvviso, al suono di qualche singolo, ma soprattutto vedendola sul palco del Dr Martens Day, lo scorso ottobre. Tutti incuriositi, tutti sotto il palco ad aspettare che iniziasse il suo set. Alla fine era chiaro che si trattava di qualcosa di speciale.
Le tracce di A Lorenzza entrano una dentro l’altra, come si trattasse di un unico take , di un live in presa diretta. L’unica consegna data a Lorenzza è di spaccare tutto, facendo passare tutto quello che fa come estremamente facile. Il tono è di una che sa il fatto suo, forse più del dovuto, ma tra le barre scorre la vera storia di una persona che sembra aver toccato la sofferenza in tanti modi, e che ora vuole raccontarlo con un rap di altissima qualità.
Da un brano all'altro cambiano gli interlocutori, l'Io di chi narra è sempre presente ma la riflessione comprende molto spesso un "noi". Che si tratti di un rapporto di coppia, di un amore tossico, di una sorellanza, c'è sempre la relazione nella scrittura di Lorenzza, e questo è un aspetto vitale, visto il solipsismo intollerabile che sta soffocando tutta la scena rap da qualche anno a questa parte. Le cicatrici accumulate nel tempo di una vita ancora acerba sono depositate su barre che colpiscono senza fuochi d'artificio. Ogni parola va dritta al punto, accompagnata da una serie di strumentali garbate, non strabilianti, al servizio del flow.
Un servizio reso alla perfezione, perché il racconto che ne deriva è perfetto, a tratti cinematografico per come riesce a fotografare momenti, dettagli, stati emotivi precisi che usano i cliché del genere per elevarsi del tutto, come il pretesto del titolo, la dedica a se stessa. Meritata, dovuta. Tanta è la personalità di Lorenzza che i feat. risultano ridondanti: Nayt nel ruolo di vecchio saggio che elargisce consigli di vita è poco credibile, mentre Rkomi continua a dare continuità alla lieve decadenza che lo caratterizza ultimamente. Non è da tutti far sfigurare due grandi nomi della scena.
Il trucco è una scrittura fatta di elementi ricorrenti, di storie riconoscibili mentre vengono raccontate. Come in un film di Almodovar i problemi entrano in scena con l'arrivo della figura maschile, "Mi hanno trovata a terra chiusa in stanza/I segni sul mio collo, lui piеno di arroganza", "La prima canna fatta di nascosto/Con le amiche a sgamo dietro in fondo al parco/Prima che fossimo divise dai ragazzi", e da questo emerge che la voglia di rivalsa di Lorenzza non è il classico topos del rap, buttato spesso nella mischia per mancanza di idee, ma è qualcosa di concreto, reazione a una vita che non sempre è stata amichevole.
Di fronte a questa grande prova di flow, di scrittura, a questo nuovo grande rap, qualcuno ha provato a sminuire Lorenzza usando il giochino, velatamente misogino, dell'industry plant. Semplicemente cazzate. In un’Italia dal panorama discografico moribondo, con un 2024 musicale in cui i dischi davvero degni di nota si contano sulle dita di una mano abbondante - e guarda caso sono quasi sono dischi di donne -, dedichiamo un dito della conta a questo disco, che nella sua arroganza giovanile prova a dirci che ne vale ancora la pena di impegnarci per questa grande baracconata chiamata musica.
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