Buona la seconda per i Low Tide: “Sundogs” è un disco compatto e diretto, capace di portare avanti il sound della tradizione emo-core senza suonare vecchio
Mancavano dal 2020 i Low Tide, all’epoca esordienti con Discrete, disco che li iscriveva all’albo della scena emo italiana (ma cantando in inglese). L’inglese è rimasto e i Low Tide sono tornati: Sundogs, uscito il 29 novembre, è il secondo album della band aretina, e segna un evidente passo in avanti rispetto al proprio predecessore.
La prima cosa, forse la più lampante, a catturare l’attenzione sin dal primo ascolto è il cambio di passo a livello di produzione: rimane l’approccio DIY in fase di registrazione, gestita in autonomia dalla band (ad eccezione delle batterie), ma il mix di Kevin McGonnell (Dead Monarchs e un altro paio di progetti in ambito “hard”, dal Regno Unito) e soprattutto il master di Will Killingsworth (leggendario chitarrista della band screamo americana Orchids) fanno lo stesso effetto della fine della pubertà: scompaiono quasi tutte le imperfezioni, e guardandoti allo specchio ti rendi conto di quanto sei cresciuto.
Grosso modo questo è quanto accaduto ai Low Tide, che ora possono vantare un discreto wall of sound, e un tiro dritto e convinto che era ancora acerbo nel disco precedente. Tra le influenze della band sono subito rintracciabili echi di Title Fight e Superheaven (ma la lista sarebbe lunga), mentre emerge anche un’anima post-grunge inedita e sorprendente, in particolare sulle parti di batteria e diverse progressioni di basso e chitarre.
Rimane ancora qualche incertezza sulla voce principale, non sempre completamente in controllo; allo stesso tempo le doppie vocali femminili formano un’amalgama che funziona benissimo, ed è un peccato non aver esplorato questa formula in un maggior numero di pezzi.
Un altro pregio di Sundogs è quello di prendere la poetica tipica dell’emo/post-hardcore e averla trasportata in territori meno a rischio cliché. Due parole saltano all’occhio nel corso dell’album: “veil” e “will”, chiavi di lettura per interpretare brani che condividono i temi di comprensione della realtà e forza di volontà. Realtà da ricostruire (Solstice) o da (ri)scoprire (Ghosts, Rust On Me); forza di resistere (Mountains) o la totale resa di fronte al dolore (Drifted). Menzione speciale per Slow Dive, riflessione dura e senza filtri sulla deriva qualunquista del nostro tempo, in cui ognuno ha da dire la propria ma senza niente di effettivamente significativo da esprimere:
Our chance / To brag aboutA massive pile of nothing
Abraded by small talks
I’ve got thorns on my tongue / And my hands are tied
Sundogs non solo è l’ennesima dimostrazione che le chitarre, nel panorama musicale italiano e internazionale, stanno benissimo; ma è anche una conferma che è possibile fare proprie influenze diverse e per natura “distanti”, e tirarne fuori un disco che è ulteriore linfa vitale per una scena che non sembra voler arrestare la propria crescita, oltre che un traguardo di cui i Low Tide dovrebbero già andare fieri.
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La recensione Sundogs di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2024-12-11 20:09:00
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