Mamasita
Per buona sorte 2007 - Rock, Reggae

Per buona sorte

Per buona sorte i Mamasita a volte non cantano in italiano, ma in inglese, e si riesce a dar meno peso a quello che dicono. Per buona sorte, nostra e loro. Ma succede di rado ed è per questo che qui non si può sorvolare troppo sui testi (come il più delle volte succede – a me spessissimo… - con le liriche patwa from Kingston e dintorni: «Ma si, la musica spinge di brutto e chissenefrega di cosa dicono! Balliamo, dai!»). Ecco il fatto: come un prodotto diventa un disco = come un disco viene prodotto. Et voilà. Rastafari-pop solecuoreamore impegnato in banali e trite denunce sociali/terzomondiste (le prime che vi vengono in mente, a caso) con la forza di un quotidiano scandalistico dell'altro ieri. Una fiera fusion di love, peace e luoghi comuni, che fanno rabbrividire. Il tutto pesato e pensato per essere molto easy listening; così easy che ad ascoltarlo viene voglia di votare a destra. E non di riascoltarsi "Clandestino" di Manu Chao o di andare a un live in levare, a una danza, o al Sunsplash con la tenda, sognando la Giamaica. Non diverte neanche. È una produzione carica di fiati (due trombe, un trombone e un sax), ma povera di fiato. È latin-reggae-ska leggero leggero, completamente fuori contesto e fuori tempo massimo. Così. E la buona tecnica musicale dei singoli non riesce a creare un magma denso e caldo che giustifichi l'operazione, asettica e chirurgica, da cui sembra essere nato questo cd.

Ai Mamasita servirebbe un'improvvisa epifania di stile, consciousness e badness, non certo gechi colorati, rastini tirabaci, cornicette, occhiaie e cannoni disegnati sulle foto del gruppo all'interno della Smemo-copertina. È una questione di credibilità. E per dei bianchi (e italiani) che dicono, tra le altre, di fare reggae (ok, è mezcla, però…), la credibilità è tutto. Ma bisogna guadagnarsela, con o senza epiphany, con o senza dredlock, con o senza Jah. Perché a sfumacchiare ganja son (giustamente) capaci tutti, come pure a parlare a vanvera e a ballare just for fun. È, o dovrebbe essere, un diritto di tutti. Come il fare musica. Ma se si comincia a invocare Jah cambiano un po' le cose, e le responsabilità che ne derivano (come pure le aspettative di chi ascolta).

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