"Joanita", più che un semplice disco, è una nascita emotiva, molto intima, con squarci violenti sul mondo esterno e dove parole sono già fuse col suono nel momento stesso in cui sono cantate
Joan Thiele procede a passi lenti, sullo sfondo il fuoco che brucia una casa, nessuno capisce cosa stia accadendo, le sirene della polizia fanno capolino come un'eco non più così lontana, buio. Titoli di coda. Un montaggio semplice, paradigmatico, la sequenza che chiude i più classici film di vendetta, ma anche la sequenza che accompagna tutto il primo full length di Joan Thiele, Joanita. Un nome da eroina da non sottovalutare, uno storytelling, che insieme al lavoro oculatissimo sul sound, apre scenari cinematografici in modo esplicito.
Quello che colpisce di Joanita al primo ascolto è la capacità di costruirsi come un racconto fatto di dicotomie, di continuo conflitto, tra bene e male. Nella generalizzazione assoluta di questi due concetti risiede la nuova forza del cantautorato di Joan Thiele, trattato come una specie protetta in continuo pericolo sul palco dell'Ariston, ma in realtà capace di colpire chiunque con la forza di un riff efficace e due "bang" pronunciati alla perfezione. Si respira cinema non solo nella forma della parola, ma nella stessa struttura delle strofe, pensate come pezzi di sceneggiatura, stralci di dialoghi da mettere insieme per raccoglierne il senso totale alla fine.
Joanita è una figura ambigua, avvolta sempre da uno strano alone di mistero e seduzione, che affronta le scelte e i cambiamenti con una vena di dolore sotterraneo, sottilissima ma sempre percepibile. Sembra strano parlare di penna, perché le parole sono già fuse col suono nel momento stesso in cui sono cantate, sempre in divenire, in una dinamica strana da descrivere, che trova come contraltare perfetto lo pseudo rap di Frah Quintale, ospite d'onore non solo nella serata cover a Sanremo, ma anche in Occhi da gangster.
Ed eccola, la figura maledetta, l'uomo con la pistola facile, che in Joanita non viene romanticizzato ma solo munito di una patina ornamentale, per lasciargli addosso tracce di stranezza, come in ogni passaggio cruciale di questo disco. Joan Thiele ha preso gli stralci della library music che ha studiato da molto vicino, e li ha adagiati su una serie di visioni che la vedono protagonista, sempre disposta ad amare, sempre disposta a sfidare, con lo sguardo di chi si è creata una credibilità prima cambiando lingua nelle canzoni, e poi avvicinandosi sempre di più ad una forma canzone abbagliante.
In Joanitac'è quello che è con ogni probabilità il miglior pezzo delle ultime due edizioni del festival della canzone italiana, e viene da sorridere perché Eco sembra la trasposizione in musica dei remake americani dei nostri grandi film anni '60. Un Leone riletto da Tarantino, che al momento giusto, nel ritornello, sfoggia quelle inflessioni melodiche degne della miglior Patty Pravo. Ed è in quel momento che facciamo pace con l'ambiguità, realizzando che Joanita è una nascita più che un semplice disco. Emotiva, molto intima, con squarci violenti sul mondo esterno.
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La recensione Joanita di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2025-02-21 00:00:00
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