Bron y Aur - suoni e interferenze che percorrono l’album dall’inizio alla fine. Sarà per questo che le tracce sembrano avventure diverse della stessa materia. Che è probabilmente il 1973, come suggerisce il titolo. L’anno 1973 visto attraverso un monocolo da lunga distanza e perciò risultante più refrattario, con sistemi ad eco, un ambient-chillout-rock, e doppie voci alla Velvet Underground feat. Syd Barret. Sono -forse- le varianti secondo Bron Y Aur in cui convertire il 1973 oggi.
Allora, nella finzione, si accende una radio sconnessa per retrocedere nel tempo, atmosfera psichedelica, blues, avvolgente, ci si lascia alle preghiere/deliri da Thurston Moore. Underground di colori evidenziatori di acid-thewhomovement, di paperelle di legno a guinzaglio, di "Amnesiac" di Radiohead e microinceppi freejazz e noise. Fumi di samba e cantati mistici. L’incedere è storture e psicocalma dei ’70. Ma la voce e riferimenti moderni e un’angoscia che sono sicuramente di questi anni svelano un album che non è solo omaggio e nostalgia di quel magico periodo del rock ma musica che sperimenta e respira, più vicino a un unico caos che a un modulo alt-rock. Sembra uscito dagli anni ‘70 eppure così attuale, è il mondo anni ‘70 oscurato in qualche sua parte, sfumato in altre e mangiato e digerito in altre ancora. Allungato di un brodo prolisso e distonico di prolungamenti free form. Uno dei chitarristi Fabio Cerina è componente dei Plasma Expander - progetto sempre edito dalla Wallace. Falcate che ammutoliscono i più scettici e una buona dose di schiuma sonora succhiata alle frequenze. Eccoli. E’ la quinta produzione e non deludono. La traccia più bella per me è "Box" tutta d’un fiato e il suo umore uggioso di rottami vecchi megafoni e cappucci grondanti di pioggia.
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La recensione Millenovecentosettantatre di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2007-05-07 00:00:00
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