Alberto Muffato toglie ogni protezione e prende in mano la propria musica. La differenza più significativa rispetto al disco precedente è l’abbandono di correzioni alla voce: un passo avanti nel pieno della luce, senza volersi più nascondere. La mancanza di filtri porta con sé una inevitabile accentuazione introspettiva, che si delinea come una maggiore e più marcata profondità testuale, immersa in un’atmosfera che non si distanzia più di tanto da quella dell’esordio, datato 2004. La definizione sarà banale e abusata, ma trattasi di pop da indie-cameretta, con alle pareti poster di Belle and Sebastian (peraltro la copertina pare una rilettura di quella del tributo alla band scozzese curato da Kirsten’s Postcard) e l’albero genealogico di quelli che un tempo erano i giovani cantautori nostrani, Bersani su tutti. Brani che girano intorno a chitarre acustiche e piano, bendisposti a farsi sostenere da archi, a divagare con un’elettronica controllata o evadere con una batteria che a tratti spinge sul power-pop.
Nonostante i riferimenti siano pressoché immutati, si avverte la sensazione che tutto si sia fatto più raccolto. Prendendo il caso più emblematico, il passaggio è testimoniato dalla diversa modalità di descrizione dell’estate: tre anni fa “C.E. Gadda e l’estate” ne ritraeva la faccia più solare e giocosa, ora “Estate” dipinge due ambienti di assoluta quiete. Proprio il terzo pezzo è forse il migliore dell’album, capace di farsi miniatura descrittiva di situazioni impalpabili, andando a raccontare la formazione di un bambino che marca la propria crescita con la ritualità dell’interruzione estiva delle lezioni. In montaggio parallelo, vengono descritti movimenti di diverse persone per giungere ad un quadro di assoluta immobilità, come se i singoli gesti si annullassero tra loro. È la manifestazione di una delle maggiori peculiarità del lavoro, una ricerca costante di piccole epifanie del quotidiano: immagini e sensazioni infinitesimali in grado di cristallizzarsi nella memoria, pronte ad essere rievocate. “Estate” è costruita nella sua interezza su questo schema, ma tale impostazione si trova anche nella title-track (”C’è tutta un’aria misteriosa dentro al treno prima di arrivare”) e finisce per essere la base per un immaginario costituito da appunti minimi. Situazioni laterali evocate con un’attenzione ai dettagli che rimanda al Brautigan omaggiato di recente dai Perturbazione. Poi si può parlare di quanto sia beatlesiana “Dove lei passa” o dei versi perfetti di “Le rughe sulla fronte” e “Se un giorno”, ma il centro del disco sta nella globalità dell’attitudine autorale di Muffato e nella sua capacità di lettura tra le righe della quotidianità. Perché Artemoltobuffa conferma di essere anagramma che rimanda non solo al nome dell’autore, ma anche ad una poetica personale definita in modo chiaro. Scritta a biro e matita e colma di cancellature, ma salda e riconoscibile come poche.
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La recensione L'aria misteriosa di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2007-06-12 00:00:00
COMMENTI (3)
a me questo effetto lo fa "Stanotte/Stamattina", contiene alcune gemme tutt'ora luccicanti tipo la title-track, "Pomeriggio d'asma", "Lacrime a biro" e "C.E. Gadda e l'estate": stupenderrime, ogni tanto ho il bisogno fisico di riascoltarle.
:)
Manchi a tanti, Alberto. Dove sei? :(
Disco da ascoltare e riascoltare più volte. Non mi ha ancora stancato dopo anni :)