port-royalAfraid To Dance2007 - Strumentale, Sperimentale, Elettronica

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“Afraid to dance” è un disco elettronico dalle sfumature ambientali/post rock. Può ricordare i Boards of Canada di “Geogaddi”, il secondo volume dei “lavori” ambient di Aphex Twin, o quel disco di remix dei Mogwai uscito nel 1998. Non è uno degli album più innovativi pubblicati ultimamente ma stupisce per come suona “internazionale” e "poco italiano": non ci si mette molto a inquadrare questi tre genovesi come il classico gruppo malcagato dall’Italia che dopo vari tentativi riesce a trovare riconoscimenti all’estero. I Port Royal sono questo e anche qualcosa in più.

Rispetto al precedente “Flares” le canzoni si sono snellite: abbandonata l’idea di voler comporre macro-brani per poi suddividerli in più tracce, i nuovi pezzi diventano più accessibili e ascoltabili senza grandi sforzi mentali. Che sia chiaro: sono ancora intrecci contorti di ritmi e melodie, molte canzoni superano gli otto minuti e spesso sembrano un freddo assemblaggio di singole parti così diverse tra loro. Ma il mood è rilassato, c’è un certo gusto per i synth morbidi e i beat non sono mai troppo cattivi.

“Afraid to dance” è fluido, quasi liquido. Si sprofonda in un’elettronica deep e oscura. Diventa un viaggio immaginario e sottomarino e non importa a se a volte i glitch sono caotici o se le parti ambientali sono eccessivamente lunghe. Pochi i punti dove il ritmo resta dritto, all’house cruda e in quattro quarti viene contrapposta l’IDM più astratta e mutevole. Il rischio in questi casi è di finire in quel tipo di elettronica intelligente che non serve a nessuno, i loro pezzi, invece, hanno sempre una melodia precisa, non sono mai inutilmente freddi o intellettuali.

I Port Royal sono dei romantici, sono sentimentali. Ci mettono il cuore e questo emerge nei loro pezzi come in una radiografia su una lavagna luminosa. Riescono a comunicare qualcosa, non sono semplicemente “bravi” a suonare con il computer. Hanno talento e “Afraid to dance” è un disco che lascia aperte molte strade per il futuro, spero le percorrano tutte.

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La recensione Afraid To Dance di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2007-07-02 00:00:00

COMMENTI (13)

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  • utente017 anni faRispondi

    Per è un ottima album, una fusione eccellente tra musica suonata ed elaborazione digitale...orgogliosi che siano italiani e che siano apprezzati all'estero (e poi sono dei gran bravi ragazzi,io li ho conosciuti!):?

  • andrpp17 anni faRispondi

    Hanno gran talento e in Italia nessuno se li filava, era ovvio che fuggissero alla ricerca di un sound che abbracciasse più culture melodiche. Loro in qualche modo dovevano mangiare e ormai è assoldato, il pane musicale Europeo è ben più appetitoso di quello secco e ottuso italiano. Pane ottuso, e come cazzo sarà? Va bè.. Tornando alla loro musica è vero che sono maturati cercando l'essenzialità nelle canzoni che probabilmente scarseggiava nel loro primo album, ma infondo si sa, la curiosità della prima esperienza invita per natura a tirar fuori tutto ciò che si tiene dentro confondendo necessario da superfluo e infondo è giusto così perché poi per malleare c'è tutto il tempo. Era il grezzo, stanno lavorando per tirar fuori un ottima scultura, ora i tratti sono forti e si vedono, l'opera potrà essere anche di quelle già riviste, ma ha tutte le caratteristiche per diventare grande.

  • utente017 anni faRispondi

    allora è davvero davvero molto brutto

  • utente017 anni faRispondi

    e se non fosse un disco "di elettronica"?

  • utente017 anni faRispondi

    Uno dei dischi di elettronica più banali che mi è mai capitato di ascoltare.

  • utente017 anni faRispondi

    un disco MONDIALE.

  • utente017 anni faRispondi

    Er problema è che sa de già fatto!
    Sa de già sentitoooo!
    A solita localizzazione italiana der ciufolo!

  • flinossi17 anni faRispondi

    Anche in Francia parlano di questo disco, c'è una recensione su "Lesirock".

    lesinrocks.com/DetailCritiq…

  • utente017 anni faRispondi

    'nsomma

  • manfredi17 anni faRispondi

    è uno che ne sa più di me e di te, caro Lenny (a proposito, ormai fai solo dischi di merda tu, eh...)