Dammi tre parole, ma non le più ovvie. Cerco qualcosa di più dadaista con un bel suono che, all’apparenza, non voglia dire nulla. In realtà voglio parlare d’amore. E i Miavagadilania fanno proprio al caso mio. Sono una parola fatta da tre che paiono senza senso e parlano d’amore. Ma che il pensiero non scappi subito verso il cuore e il sole. Qui è il canonico amore romantico: profondo e cerebrale. In mano a loro diventa un sentimento avvolgente che scorre nelle vene, senza rendersene conto, quasi come un veleno e piano piano strugge e distrugge. Ecco perché mia vaga dilania: nel suo esserci latente ma costante, l’amore annulla. Come l’acqua che, goccia dopo goccia, senza dare nell’occhio, riesce a scavare nella roccia. “Sei nata” è una ballata di disperazione, la sensazione è quella di guardare in fondo ad un abisso e non vederne il fondo.
L’intero ep è un percorso introspettivo dalle parole ricercate e le frasi enigmatiche. Aiuta più l’istinto che la testa ad apprezzare i testi un po’ ermetici e un po’ decadenti, sono poesie messe in musica. Alla Manuel Agnelli, e forse non è un caso. Come gli Afterhours, i Miavagadilania sono nati nell’underground milanese e si stanno facendo le ossa esibendosi nei locali alternativi e conosciuti dai pochi del giro. Esperimento ben riuscito ma non perfetto. I passaggi strumentali spesso aspri e malinconici e gli attacchi vocali purtroppo, ai primi ascolti, suonano alla stregua di qualcosa di già sentito. Marlene Kuntz in primis.
L’esordio è buono, ma possono ancora migliorare. Anzi, devono. Perché meritano di piacere non solo per effetto di somiglianza.
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