Braccia rubate al (free) jazz. Costrette a menare giù duro con dosi smisurate di crossover, a inventarsi qualche frase sbiascicata (in lingua francese) a mo' di rap, a tirar fuori dal sarcofago addirittura un (breve) assolo di batteria, roba che non si sentiva come minimo dal 1976, quando anche l'ultimo dei musicisti di ispirazione prog fu spedito al confino. Di quale sia la tazza da the dei Nexus te ne accorgi da certi giri di basso, dal modo in cui menano le bacchette sulla pelle dei tamburi, dal caos organizzato presente tra le tracce di "Odynephobia conversion". Un album con molte idee, forse troppe, dove convergono chitarre elettriche, ritmi rilassati, sax degni del peggiore dei bordelli, improvvisazioni, strizzate d'occhio all'avanguardia. Non è semplice stare dietro ai Nexus, come non è semplice definire la loro musica, all'interno della quale si può trovare di tutto. C'è del buon crossover, come si diceva, a metà tra i Living Color e i Red Hot Chili Peppers. Ma c'è anche dell'altro: basti ascoltare come il discorso sbocchi nel jazz tout court ("Prolix drifting vagina") o in omaggi agli anni '70 ("Plaster caster addiction" sembra scritta da John McLaughlin). Una disomogeneità che suona tanto di contraddizione, ma per fortuna non è così. Il minimo comune denominatore è il percorso verso la complessità, il far quadrato attorno a una ricerca, quasi ossessiva, di un suono il meno possibile accomodante, che prova a uscire fuori dagli schemi. Quasi come se il reale punto di riferimento fosse davvero la libertà espressiva del free jazz, della sua deriva libertaria e caotica. Non un disco facile, in definitiva, e forse sin troppo derivativo, ma concediamo al Nexus il merito di essere stati coraggiosi e consciamente liberi.
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La recensione Odynephobia conversion di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2007-05-31 00:00:00
COMMENTI (1)
Recensore poco hai capito di questo disco. Sembra che hai ascoltato 30 secondi per traccia.