Il modo più prevedibile per raccontare i Marcilo Agro è dire che sono i Kings of Convenience italiani. A me scoccia molto essere prevedibile, ma questa definizione resta indubbiamente la migliore e, per quanto uno voglia girarci intorno, la sostanza è che i Marcilo Agro sono davvero i Kings of Convenience italiani. Occorre ora ragionare su quale accezione dare a questa descrizione. Il lato negativo della faccenda è il sapore tiepido di una formula già sentita, piuttosto prevedibile e tendenzialmente banale. Quella forma di pop song arpeggiata che prende le mosse da Simon&Garfunkel ed arriva ai giorni nostri in imitazioni parzialmente riuscite. D'altra parte bisogna ammettere che i Marcilo Agro sanno fare belle canzoni e riescono a proporre alcune ottime variazioni sul tema con la loro ironia agrodolce. Così, se è evidente che le strutture acustiche a vocalità intrecciata e le atmosfere delicate sono spesso identiche a quelle del duo di Bergen, è altrettanto evidente che la scrittura di questi piemontesi è spesso sopraffina e gode del dono della personalità. C’è ispirazione sincera e molta poesia nel loro modo di comporre, con un’attitudine “nordica” negli arrangiamenti ed un calore mediterraneo nell’interpretazione. Se dunque si tratta fondamentalmente di pop acustico che aderisce agli schemi del nu-acoustic movement, è anche vero che i Marcilo Agro dimostrano un certo amore per la tradizione cantautorale italiana. La loro musica viaggia su emozioni sottili, aggrappandosi ai dettagli degli spazi più intimi, restando però sempre giocosa, molto colorata e fruibile. Manca probabilmente il guizzo decisivo ed il disco perde qualcosa negli ascolti prolungati.
Insomma, Erlend Øye e Eirik Glambek Bøe sono un po’ più bravi, ma teniamoci stretti anche i Marcilo Agro, perché di qualche buona canzone c’è sempre bisogno.
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