Un disco che, a priori, godrebbe delle caratteristiche essenziali per essere dimenticato come uno dei tanti episodi di cantautorato folk – lo fi in lingua inglese, ispirato alla tradizione americana di cui artisti come Cash e Young sono indiscussi maestri.
Appunto: a priori. Perché a conti fatti, pur senza sconvolgere o abbagliare, Tommi firma una piacevole raccolta di composizioni personali dal carattere intimo e domestico. Dodici brani caratterizzati da un uso scarno ma efficace di chitarra e voce, e caratterizzati da inserti di batteria, pianoforte, violoncello, armonica e loops vari in sottofondo. In essi il cantautore veneziano mostra di saper ricamare con eleganza attorno ad arpeggi e melodie vocali, come in “Iperborea” e “Indulgent”. Ma in particolare mette sul tavolo una voce che possiede toni e sfumature che non lasciano indifferenti (l’iniziale “Lied”) oltre ad una bella padronanza dello strumento soprattutto nei brani più sospesi del demo, “Child” e Giulia”.
A ciò si aggiunga l’ottima scelta di non diluire eccessivamente le strutture, dando ai brani quella leggerezza che (forse) andrebbe persa di fronte a prolisse ripetizioni: il minuto e mezzo di “Stay”, al riguardo, esaurisce pienamente l’intento di Tommi e lo fa lasciando un bel retrogusto.
Non é, d’altronde, la brevitas una virtù classica?
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