"C'è la parola e c'è la farfalla", dice Leonard Cohen. Se narri la leggerezza di una non devi farle il verso con l'altra. Basta dire "farfalla" ed affidarsi ai patrimoni comuni di senso ed evocazione. C’è chi la vuole Marlene e chi Kuntz. Lei sorride e si lascia chiamare. Memore della farfalla. Che vola comunque.
Accadrà. D'un tratto, in ascolto di questo settimo full length dei Marlene Kuntz, lavorato a strati in studio, verrà voglia di scovare le differenze, come un gioco a dispetto, affiancando le "canzoni di ieri, oggi e domani" a quelle "ecologiche e sensuali". Scoprire se antiche Api Regine hanno il medesimo "sapore di miele". Se la title track -e certe questioni di qualità- suonano davvero un po’ Csi. Catalogare ogni singola ispirazione e dannato riferimento. Misurare il peso esatto delle esperienze. Ma un’opera è tale quando contiene e mantiene un segreto. Quindi non fate troppe storie. Ascoltatele. Ascoltate questi quadri allegorici senza falsi intimismi, a tratti espliciti come un tributo al semplice che un devoto ha interpretato con troppo zelo ritrovando però velocemente la misura, l'efficacia del rito.
Di “Uno” non dico mi piace. Dico mi va. Perché è un album-viaggio fino ad "Uno" e senza contare alla rovescia. "Uno", nuovo codice binario per riscrivere se stessi. Farlo usando la memoria dell'acqua: assumere la forma che serve scordando le precedenti. Ma l'acqua resta acqua. E ben si ricorda di sé.
Può il semplice essere denso? Deve il semplice essere immediato? Parametri a perdere quando c'è equilibrio, quando il corpus emerge più della singola parte nel cantare carrellate umane d'invettive, assoluti, amori ed incertezze. Meno metafore e più farfalle, qui, che rispettano rotte di cura stilistica e metrica, tendenze narrative, metamorfosi spiazzanti per intenzione e riuscita.
Nuovi strumenti, innesti sonori, drammaturgia d’insieme, voce filtrata, a tratti parlata, ritmiche elettroniche non sono qui sperimentazione. Non ce n’è bisogno. La sperimentazione già fu, allora, agli esordi, quando si spiazzarono aspettative e abitudini innestando tra l’altro l’italiano su nuove sonorità, figlie d’altre sì ma autonome, capaci di uccidere i propri genitori. Fu la faccia ignorata del prisma. Qui, il naturale compimento di quelle intuizioni. Qui, la forma-canzone Marlene.
Le orchestrazioni d’archi di Igor Sciavolino, il piano dell’incomparabile Paolo Conte, le incursioni di Greh Cohen che amalgama di contrabbasso i suoni acuti, i tasti di Vittorio Cosma, il tocco di Gianni Maroccolo, i cori di Ivana Gatti non sono una folla di ospiti che nasconde Marlene. Marlene c'è, decadente e corposa di chitarra ma corale, lontana da certi stereotipi sonici, rock e noise. Verso l’altro capo della linea di continuità. E sarà interessante scoprire come e quale sarà la trasposizione sonora live.
E che girotondo letterario è il booklet. Parole nate ad hoc come suggestioni d'ascolto. Non solo V. Nabokov, che suggerisce il titolo, che ispira l’amore con la sua Vera e che con altri da tempo cospira silente con Cristiano Godano. Tra gli altri preziosi e noti nomi che leggerete a tergo, lo stesso Paolo Conte, l'emergente fuciliera di parole Babsi Jones, E. Kurt Zelmann, che già ispirò il titolo di "Che cosa vedi". Dediche, estensioni dei brani.
In trasparenza, nel girotondo, il segreto. Di un'opera conta l’avida bramosia che lascia. Il silenzio dopo la voce, di cui tanto abbiamo paura e ci sforziamo di riempire.
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