Benvenuti a “Cloud Cuckoo Land”. Un luogo di sogno, in cui tutto va come deve, dove i desideri prendono forma e la fantasia corre libera. Superare il confine dell’esistente “Sleeping on the river side”, addormentandosi sulla riva di un fiume, come dice “Ghosts’ legs”, per risvegliarsi nello spazio dell’anima. Vivere un tempo e uno spazio ideale, entrare nelle stanze in cui sono contenuti i sogni, magari fare una passeggiata in quelli di una donna enigmatica, per capirne il senso e infonderle dolcezza. La splendida ballata in apertura riassume gli Annie Hall, band bresciana legata per metà alla tradizione folk anglosassone, per l’altra alla vivacità del pop meno mainstream.
Affondano le radici nel patrimonio delle melodie senza tempo, in quel terreno intimo, appartenente alla collettività e, contemporaneamente, all’individualità di ognuno, regalando istantanee di paesi più immaginari che reali. Come in “The lost wallet”, dove l’accavallarsi di voci sussurrate dolcemente, accompagnate dal suono della chitarra, si trasformano in carezze capaci di lenire qualsiasi ferita. A fare capolino dai monti all’orizzonte sono allora i Kings of Convenience, ma anche l’influenza dell’ineffabile tocco dei Wilco o le variazioni armoniche di impronta Elliot Smith, ravvisabili nei giri di chitarra di “Little room”.
Non c’è soltanto l’intimismo in un gruppo che prende il nome da una delle pellicole del primo Woody Allen, in loro è presente anche l’ironia, ma forse ancora di più il brio e la leggerezza di certe produzioni pop poco pretenziose. Senza con questo voler attribuire un carattere di faciloneria al gruppo, bensì un approccio immediato alle cose. Tale tendenza pop, presente in tutto l’album, appare con evidenza in tracce come “Mushrooms” e “Uncle pig”, dove compaiono affinità geograficamente più vicine al gruppo, come Mr60 e Le man avec les lunettes.
Impossibile non subire il fascino dell’incantato “Cloud Cuckoo Land”.
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