Continuo a pensare, anche in fase di stesura della recensione, per cercare di capire se questo disco di Cristina Donà sia solo un buon lavoro o, più semplicemente, le dieci canzoni de “La Quinta Stagione” siano effettivamente la cosa migliore che oggi l’artista monzese potesse regalarci.
I continui ascolti suggeriscono di non calcare la mano e accettare la svolta definitiva, in cui si intuisce chiaramente che le scelte non sono più quelle delle prime prove discografiche; manca infatti l’incoscienza nella scrittura, quella sorta di ispirazione primigenia che ci aveva regalato brani come “Raso e chiome bionde” piuttosto che “Senza disturbare” o “Volevo essere altrove” e “Mangialuomo”. Eppure l’iniziale “Settembre” ci riporta a certe atmosfere degli esordi, ma la successiva, nonché singolo, “Universo” palesa subito la ricerca di una certa classicità negli arrangiamenti. D’altronde col tempo si cresce e si matura e questo quarto album ci consegna una cantautrice bravissima, che ormai scrive canzoni splendide per un pubblico che sempre più spesso potrebbe contarsi - cosa che gli auguriamo - nell’ordine delle migliaia. Non è un caso che dopo Davey Ray Moor sia stato chiamato Peter Walsh (già al lavoro con tantissima gente nel giro del pop internazionale, da Peter Gabriel a Scott Walker, passando per Pulp e Simple Minds fino a PGR) in cabina di regia, a tessere le fila di 10 tracce prodotte - e levigate - per il mainstream come forse meglio non si sarebbe potuto fare.
Per cui - è vero, non lo neghiamo - (ci?) manca un po’ di quella verve degli esordi, ma faremmo realmente un torto alla musica italiana a dire che in questa abbondante mezz’ora di musica non ci siano ottimi spunti; e soprattutto che un simile prodotto non possa rappresentarci fuori dai patri confini senza dover subire processi di trasformazione a favore dell’inglese. Sarebbe una bella sfida, perché brani come “I Duellanti”, “Niente Di Particolare (A Parte Il Fatto Che Mi Manchi)” e “Laure (Il Profumo)”, forse le 3 tracce più movimentate del lotto, potrebbero fare la parte del leone e convincere qualche deejay a inserirle in alta rotazione. E potrebbe sempre darsi che ci si innamori di “Non sempre rispondo”, episodio che ricorda certe atmosfere tipiche del repertorio di Patrizia Laquidara. Rimangono poi tante ballate, materia in cui la protagonista continua ad eccellere senza però, ci sembra, strafare. Ed è un bene, perché c’è molto materiale da ascoltare e, probabilmente, da invaghirsene. A patto che non diate retta a inguaribili nostalgici sempre lì a ripetere che “il primo amore non si scorda mai”...
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