Lo dicono loro stessi, nel retro del cd: il jazz non è per tutti, il rapporto tra produzione e demografia è troppo squilibrato. Di conseguenza, i consumatori – e anche i produttori - di jazz devono appellarsi alle proprie doti di moderazione, per godersi a pieno quel poco che c’è e quello che, a certi livelli, se ne può raccogliere. Ansia famelica da tenere a bada e allenamento per riconoscere le cose buone: del resto, una volta che ci siete dentro, è difficile uscirne. E dunque, si impara.
"Slow Food": un approccio moderato al cibo, al jazz, alla vita. Poi, nella musica, tra le corde della chitarra e del contrabbasso, in mezzo alle spazzole della batteria, con tutto il fiato che gira nel trombone, di moderato c’è ben poco. Come ci si può regolare quando, dopo che uno alla volta si entra nel pezzo, ti toccano quelle 6 o 8 battute d’assolo, mentre gli altri continuano a seguirti e il groove s’impasta sempre meglio?
"Slow Food" è il progetto del chitarrista catanese Paolo Sorge, che vanta collaborazioni di tutto rispetto (tanto per citarne una, Paolo Fresu) e un disco all’attivo in trio. Stavolta, propone un quartetto, in cui i maggiori protagonisti sembrano essere chitarra – elettrica, ovviamente – e trombone, e cerca di dare vita ad un jazz spigoloso di stampo swing, ma non troppo, che travalica certe staticità ritmiche punzecchiando l’ascoltatore con qualche esperimento molto free, sfruttando soprattutto le potenzialità del trombone. Senza dimenticare, ogni tanto, di riaggrapparsi a melodie riconoscibili e più sicure. Dalla terra ferma verso il largo, guidati da una grande chitarra, coraggiosa e con un suono gradevolissimo, che funge da faro e da avanguardia allo stesso tempo, riuscendo a far dilatare gli attimi per poi riportarli, subito dopo, a riva, al sicuro. E pensare che la chitarra, nel jazz, ha fatto tanta fatica a farsi strada tra puristi ed accademici, rimanendo sempre ancorata ad un retrogusto pop, riabilitato solo qualche decennio fa. Grazie anche a certi signori come Pat Metheny, John Scofield o Mike Stern, ognuno con i loro crismi e gusti e stili, ma pur sempre chitarristi.
A chiudere, una rilettura del "Prelude op.48" del compositore russo Scriabin. Quindi mettetevi comodi e prendetevi tutto il tempo del mondo, che tanto il jazz mica scappa. E questo disco ne vale la pena.
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La recensione Slow Food di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2007-10-18 00:00:00
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