Frugo nella mia memoria. Ma non riesco a trovare un altro album italiano ufficiale che mi abbia fatto provare tanti brividi, venire così spesso la pelle d’oca, cantare a squarciagola la gioia di vivere con le cuffiette a palla. Cazzate? Non credo. Piuttosto un dato sensibile per valutare questo primo, attesissimo album dei veronesi (ma il cantante è bresciano) Canadians, una band, per chi si fosse perso le precedenti puntate, capace di conquistare un pubblico internazionale in brevissimo tempo e con solo un demo alle spalle. Date un’occhiata al loro Myspace: dopo aver stregato le conduttrici di “Project My World”, reality turistico teen-oriented made in Usa, assommano 5308 contatti nel giorno in cui scrivo. E sono nati due anni fa. Per dire, il più celebrato gruppo alternative italiano, dopo 18 anni di esistenza, ne fa 12083. Aride cifre, ma che danno il senso del fenomeno.
La title track apre l’album come di solito si ascolta solo nelle produzioni estere: un brano bellissimo, dalla melodia delicata e malinconica insieme, che, tra interventi stranianti di tastiera e robusti chitarroni college pop, finisce per candidarsi ad autentico anthem indie del 2007 italiano. Ma anche “Summer Teenage Girl”, “Find Out Your 60's”, “The North Side Of Summer” e “Good News” possono esserlo. Un così nutrito numero di singoloni, dannatamente pop, senza braccino pesante che impedisca di pestare come si deve, in grado di agganciare chiunque se promozionati a dovere, è evento raro in un disco italiano. Tra gli altri brani, spiccano l’ironica “Last Revenge Of The Nerds” e la delicata “Ode To The Season”. I testi, in un inglese semplice ma efficace (cantabile anche da noi mediterranei ignoranti), sono privi di quella pesantezza letteraria ed esistenziale che tormenta da sempre il rock italiano. E – francamente – nella loro esaltazione di amori intensi e delicati, precoci nostalgie del passato, desideri di fuga dalla città in una natura incontaminata, esaltazione delle stagioni estreme, estate e inverno, raccontano molto di più del mondo d’oggi di tante trombonate retoriche. Candidandosi a perfetto anello di congiunzione tra Beach Boys, Weezer e Grandaddy, la band veronese sforna un prodotto di genere, certo, ma mostrando una propria personalità autoriale. Un po’come Sergio Leone: faceva western, ma tutti a modo suo. E come lui, anche i Canadians hanno tutte le potenzialità per imporsi sul mercato estero. Cosa a cui consiglio loro di puntare, visto che in Italia i media non li passeranno mai come si deve, causa english lyrics.
Ma ce ne fossero dischi italiani come questo! Fatti di vento nei capelli, corse in auto decappottate, sotto le carezze calde del sole, con la pelle bruciata dal sale marino, fatti di baci salmastri, ora teneri ora appassionati, rotolandosi su prati verdi alla luce della luna, tra il profumo dei boschi. Dieci, cento, mille!
Qualcuno ha scritto che i Canadians non saranno i salvatori del rock’n’roll. Di quello mondiale, poco ma sicuro. Di quello italiano, potrebbero anche esserlo.
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