“Non è rap quello dei 99 posse” disse il fomentatore fabrifibrico di applausi estivi. Sistemiamo la citazione con: non è rap convenzionato con gli States quello di Zulù. Ma era un miscuglio di rime che poteva cambiare i punti di vista statici dei fattoni degli anni 90 e gestirsi la rivoluzione dal basso senza spompinare gli americani. Era un linguaggio nuovo. La lotta culturale del Posse Power. Energie for the people. Questa buona re-connection storica tra i Bisca e Zulù suona vecchissima che sembran passati ottant’anni. Sapori di un mood finito - che non c’è più, son quasi tutti altrove - ma che grazie ad un qualsiasi Dio non smette di lottare. E’ il suono della resistenza. Per quanto possa essere enfatico dirlo negli anni in cui son tutti col culo moscio a guardarsi le guerre su Youtube. Per i tre terroni il disco è da consumarsi preferibilmente entro il 2029. Sempre che non schiattiamo prima di insoddisfazione precoce e arrivismo passivo. Fanculo. Almeno il boss dei 99 posse si diverte. Bisca e Zulù han fatto un disco trash. Poesia discorsiva di un comizio politico non-silenzioso tra trombe e semplicità orchestrali. A parlare di guerre intelligenti, di politiche assurde, di guerre sociali. Animatori politici col sorriso sul piercing e il suono dei cartoon giapponesi. Ambizioni electro che confermano la confusione di un’attitudine no-rap, no-reggae, no-rock. Chiamiamolo rebel-sound. Che se respiri gli spari devi ribellarti. C’è D’alema o Bertinotti in tv ma controlla bene cosa succede in Venezuela. Chiediti chi contrapporrà l’America a livello globale e poi guarda sul mappamondo l’Iran. Il comunismo e la prepotenza americana, rifugi sotterranei e nazionalizzazioni. Bombe atomiche, transoceaniche e le napoletane abbranca-chiaviche (?). Di intelligente non c’è nulla se ci muore gente. E’ un mondo del cazzo quello in cui caghi appena sei sveglio. E i tre terroni sottolineano. Come si faceva in quegli anni novanta caduti nell’oblio delle righe di un libro di cui non te ne frega un cazzo e che mentre leggi ti accompagnano la mente a Caracas a parlare di socialismo democratico e anti-imperialismo con Chàvez. L’accoppiata storica napoletana suona canzoni regional-popolari divertenti e ridicole. E va bene così. Questa è una tipologia (ormai quasi-primitiva) di rivoluzione musicale. Ora prendetene l’attitudine e aggiornatene il linguaggio. Senza scaricare software ma alzando lo sguardo. E lottando. Che la cosa più grave e assurda è che oggi ‘un solo grido’ non si ha la forza di farlo.
---
La recensione I tre terroni di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2007-09-10 00:00:00
COMMENTI (3)
Voglio una macchina del tempo
che mi riporti indietro
nei 90 quando ridevo
mi emozionavo
sognavo
Voglio una macchina del tempo
per tornare
per tornare a respirare
che ora sono in apnea
il piacere del vecchio o il vecchio che gira ancora in questa frase è tra i più espliciti e belli degli ultimi tempi!
"Questa buona re-connection storica tra i Bisca e Zulù suona vecchissima che sembran passati ottant'anni."
e' vero, il suono del disco è un po' passato, però la bomba abbrancachiavica + l'iran l'iran l'iran hanno davvero un ritornello bellissimo che prende davvero.
sui brani schierati avrei preferito riuscire a trovare una vena più ironica.