Roma fu fondata da Romolo e Remo, il resto lo sapete tutti. Nerone e Pasolini. Andreotti, Alberto Sordi e Trilussa. Amatriciana, Colosseo, Trastevere. Quella Roma di Remo Remotti, puttanona, borghese, fascistoide, del "volemose bene e annamo avanti”, delle approssimazioni, degli imbrogli, degli appuntamenti ai quali non si arriva mai puntuali, dei pagamenti che non vengono effettuati. La città in cui oggi tutto sembra già accaduto e le parole si sbriciolano spesso in grande fumarole. Eppure nel 2007 qualcuno ha inventato un modo magnifico per raccontarla ancora e raccontarla a tutti. Sembrava un episodio nato attorno ad un’idea destinata a brillare e poi spegnersi, invece gli Ardecore sono ancora qui. E dimostrano che tradizione e modernità possono abbracciarsi lasciando stupiti.
Dopo aver vestito di suoni contemporanei le storie senza tempo della musica popolare romana, la compagnia di suonatori decide di scrivere stornelli originali, firmando una canzone d’autore che viaggia nei luoghi simbolici del romanticismo popolare e sorvola le vicende quotidiane di ieri e di oggi. Confermata la formazione prestigiosa con gli Zu a movimentare le strutture e Geoff Farina a fare alcune cose della chitarra, il cantastorie Giampaolo Felici strappa il cuore alla tradizione romanesca e lo trapianta in un corpo musicale che fonde stili e riferimenti diversi, muovendosi in traiettorie oblique tra folk, blues, rock, jazz e feste di quartiere. Come se Nick Cave rendesse omaggio a Ettore Petrolini e Gabriella Ferri. Come se Tom Waits giocasse con John Zorn per rileggere Rugantino. Come se la Roma che c’era incontrasse la Roma che ci sarà. Ed è proprio l’immaginario popolare unito alla trasversalità stilistica a rendere unico in Italia il progetto Ardecore. Se la prima esperienza godeva del dono della sorpresa, giocando d’anticipo e sfruttando la curiosità ed il fascino innato di canzoni senza tempo, stavolta si temeva un possibile esaurimento creativo della loro formula. Invece gli Ardecore si ripetono senza essere ripetitivi, dimostrando il coraggio di mettersi a nudo con composizioni originali. E diventano pietra angolare di una nuova forma di musicalità nell’ambito di una tradizione popolare che nasce a Roma ma che travalica l’appartenenza geografica e dialettale, diventando esempio di forma canzone italiana. Perché “Chimera” è un disco magnifico con Roma dentro e l’Italia attorno.
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La recensione Chimera di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2007-11-12 00:00:00
COMMENTI (7)
un cuore che non smette di ardere
attorno e dentro, come il mondo..
meravija.
grandioso, grandiosi.
c'è-poco-da-dire
ma non erano Romolo e Remolo?
:[
Grandi suoni. Grande modo di fare.
t
ahhhAhaAhaAHAHhhAA AaUUaUaUUauuUUAUauu uAUAauUUUuAUaauuUuU :]
romani di merda tutti appesi rockit venduto