Da dove iniziare per raccontare di questo quinto capitolo della carriera targata Subsonica? Dall’intro industrial della traccia d’apertura o dai forti richiami al passato di tre brani collocati verso la fine del disco? Tutto ciò per dirvi che il quintetto compie un deciso passo avanti rispetto a “Terrestre” e, per di più, riporta alla luce alcune alchimie del passato che tanto ci mancavano. Nell’ultimo caso mi riferisco, ad esempio, a quel terzetto rappresentato da “Piombo”, “Alta voracità” e “Canenero”, tracce che sicuramente faranno felici i più nostalgici e rappresentano uno degli apici creativi della band. Ognuna a suo modo, infatti, riaprirà in voi alcune finestre della memoria, facendovi tornare indietro di qualche anno… sempre che abbiate superato i trenta!
Poi ci sono i pezzi facili, quelli come “L’ultima risposta”, “Quattrodieci” o “Nei nostri luoghi”, che seguono un po’ troppo il canovaccio a cui i cinque ci hanno abituato da tempo, ovvero canzoni la cui evoluzione verso il ritornello da cantare a squarciagola sembra quasi un passaggio obbligato. Non che bisogna farsene una colpa, per carità, e tantomeno pensare che la tentazione sia quella di skippare, ma l’augurio è che si trovino - quando possibile - vie di fuga che sorprendano l’ascoltatore. Un po’ come succede quando parte “Il centro della fiamma”, dove si affonda il colpo senza esitare verso una deriva quasi rave, per poi risalire e successivamente riscendere, e così a ripetizione, quasi si fosse sulle montagne russe. Altrettanto interessante è “Ali scure” che, come “Veleno”, non si limita a mettere in scena la solita ricetta, ma si gioca con i suoni, dando spazio anche a inediti incroci ritmici. Insomma, il “deciso passo avanti” c’è stato e non è relativo solo a quanto di buono vi abbiamo raccontato, perché la media dell’album ci sembra notevole - anche se “La glaciazione” avrebbe potuto farvi pensare il contrario, ma si tratta di un singolo (comunque interessante) destinato alle radio.
In definitiva, ci vorranno forse diversi ascolti per convincervi della bontà di un lavoro come “L’eclissi”, a cui forse rimproveriamo, come il suo predecessore, una durata eccessiva. Ma - è dura ammetterlo - se ne accorgeranno solo gli over 30: i più giovani, invece, non si faranno problemi di sorta e lo eleggeranno a disco generazionale per il prossimo semestre nei loro Ipod.
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