C’è stato un tempo sulle boulevards di Hollywood in cui se il cuore era il motore del mondo o una semplice pompa idraulica atta ad esigenze fisiologiche, non c’era molta differenza. Un tempo in cui si faceva l’autostop su e giù per le colline e le valli di una California assolata e chimica per raggiungere i concerti e le ragazze si vestivano di pizzi e velluti amarcord per ammaliare. I Flying Burrito Brothers si scambiavano i componenti coi Byrds, i Turtles regalavano inni beat-pop all’Italia e Frank Zappa era il re. C’è un disco ora che restituisce e regala queste immagini a chi non ne ha mai avuto cognizione o a chi, come la sottoscritta, spesso rimpiange il salto temporale che l’ha allontanata da simili incastri storico-musicali; questo disco s’intitola “Happy Boys Cry Loud”. I June ne sono gli artefici. Indubbiamente un bel esempio di internazionalità italica, che arriva dall’isola(ta) Sardergna, da cui tutto sembra sempre un po’ più lontano, un po’ più difficile, e invece eccoli qui, con una serie di pezzi che quasi non ti stancheresti mai d’ascoltare. Due per tutti, esempi di mood intarsiati perfettamente: “September” malinconicamente struggente e “Dora” che riesce a catturarti come un lazo. Undici schegge preziose inserite nel filo di perline tardo-hippie che legano quel passato al nostro presente.
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