"Grazie a tutti, grazie al cazzo". Dice proprio così un pezzo di questo disco; un altro ha un'intro molto speciale: un rutto.
I Malagang vengono da un paesino delle Marche e sono il prodotto di una fusione di due formazioni, i Gang e i Malavita. Gruppi di cui ignoravo l'esistenza, pur essendo loro corregionale e pur avendo già passato da parecchio i 15 anni. Suonano uno ska punk ragga patchanka, poi riassunto in un'unica perifrasi: rock ribelle. Compagni comandanti assassini rivolta fuck-the-police distruzione politicanti protesta. Grazie alla destra e alla sinistra, fuck. Quasi i Beppe Grillo della situazione. In mezzo, anche le agitazioni sindacali degli anni '70 e '80, la mafia, la P2, qualche scorcio della Bologna di quegli anni con le matite di Pazienza, qualche tributo qua e là, per esempio a Junior Marvin, Lee Perry o i Clash.
Gli amanti del genere direbbero che tutto sommato, anche se non brillano di luce propria, non sono male. E però non sono i primi (e nemmeno gli ultimi) a fare proposte di questo tipo. E' come quando fino a qualche anno fa c'erano ancora quelli ostinati a non volere il telefonino, perché troppo capitalista, o omologato. Se li decontestualizziamo dai generi cui fanno riferimento perdono praticamente tutto, perché non inventano nulla ed è difficile ricordarsene. Ricordiamoci che i gruppi che valgono sono quelli che riescono a convincere i non appassionati del genere che suonano.
Quando tra gli ospiti leggo che ha partecipato anche un "cantastorie" di un altro paese marchigiano, mi viene da sorridere pensando alla fisarmonica ai saltarelli e alle sagre di paese. Purtroppo, subito dopo leggo anche il nome di un basco, celebrato come 'colui che agita e muove' nella sua terra – dove peraltro il disco è stato mixato – mi incazzo: a voler fare troppo gli anticonvenzionali e i protestanti spesso si finisce per finire in un altro calderone di massificazione che non fa arrivare da nessuna parte. Tutti con la kefia a sventolare le bandiere di Euskadi, fratelli. E via ancora di ska, ska-core e ragga. Ne abbiamo già visti troppi.
E non mi fate pensare al rutto che mi si capovolge lo stomaco.
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