Debutto curiosamente fuorviante, quello sulla lunga distanza dei campani A New Damage. L’intento giocoso di ricreare una certa elettronica povera rincorre girovagamenti melodici dal sapore post-rock, con qualche concessione al dancefloor. Il retrogusto stantio è fugato dalla chiave di volta, in bilico tra il manierismo e il genialoide fai-da-te, che ci mettono i quattro campani. Le stradine tortuose di qualche (post)chitarrina polverosamente inglese mutano in una gradevole discesa a valle. Disimpegno riflessivo suona male, ma funziona. Ed emoziona, per un istante. Intelligente ma ricreativo? Eppure il disco intrattiene senza fastidiosi vuoti dinamici ma neanche momenti cerebrali da aspirina. Dove le corde sembrano entrare nel vicolo cieco del già sentito, ci appigliamo a un glitch smussato che ogni tanto fa capolino sui ritagli di fondo. Oppure ci affidiamo a qualche incalzante arpeggio proprio azzeccato. Manifesto è la sognante, elettronica e delicata “Distance”, con la voce soffusa di Paolo Messere (Blessed Child Opera). Altrove qua e là si lascia intuire un percorso sonico più vicino sia agli Yuppie Flu che ai Julie's Haircut meno psichedelici; eppure li apprezziamo quando sono meno contorti e più coraggiosi con la propensione alla sintesi elettrica. Certo, manca quella patina di personalità che darebbe al lavoro un’impressione più coraggiosa. Breve, accessibile pur essendo ragionato e consapevole, “Businessmen die getting bored” è senz'altro un disco piacevole e di sollievo per un momento di crisi caotica verso la prigione rumoristica urbana.
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