La bachelite è la prima forma di plastica che abbiamo avuto. Il primo materiale sintetico che negli anni del boom ci siamo ritrovati prepotentemente in casa con elettrodomestici e telefoni; quello che ha dato il via all’usa e getta che oggi consideriamo normale.
Si chiama così il nuovo lavoro degli Offlaga Disco Pax, lo aspettavamo da tanto. Già dal nome la sentiamo quella critica mirata ma velata, mischiata ad una sensazione di lucida rassegnazione che abbiamo imparato a conoscere con “Socialismo Tascabile”. Tre anni fa c’era da aprirsi il varco e bisognava essere più esplosivi. Oggi i tre emiliani continuano con le frecciatine amare ed ironiche, ma vanno più a fondo. Si scavano dentro, parlano di loro stessi. E tirano fuori un disco che sembra molto più ragionato, intimo, fendente, perché lasciano intuire senza spiegare, anche quando sembra che spieghino fin troppo. Perché la voce narrante di Max Collini è una delle poche che può permettersi di infilare nel testo di una canzone una frase come “Entra acqua, poca. Sufficiente per dare all’abitacolo un persistente odore di muffa”, raccontandoti una storia apparentemente insensata, che per decifrarla devi cogliere tanti piccoli indizi. E va bene, non canta, non si sono imposti l’obbligo della melodia. Ma mentre pensi a che senso abbia, il racconto fila che è una meraviglia e tutto il contorno ti fa salire un’ansia che inizia a divorarti. Le vampate elettroniche ti accecano, i bassi entrano in loop e ti consumano lo stomaco, i suoni sintetici e il piano in crescendo ti fanno pulsare il sangue nelle vene: vuoi sapere come finisce la storia, cazzo. In fin dei conti gli avevano solo rimosso la macchina, no? Anche per Barbara: lo sai fin dall’inizio che succederà qualcosa, magari si spoglierà, si lascerà toccare, lo farà arrossire d’eccitazione. Poi quando ti dicono che gli sta per fare un pompino… te lo aspettavi. Ma ti sorprendi comunque. L’attesa, forse, aumenta l’attenzione, la predisposizione, lo stupore finale. Stupore che si converte presto in amarezza, dopo che hai capito che non si tratta del solito raccontino sulla scoperta adolescenziale del sesso. E così con il gambero imprigionato nel lago di Pilato, con la scusa della tutela della specie: io al lago di Pilato ci sono cresciuta, e non mi è mai venuto in mente che fosse un simbolo di resistenza, né che le guardie forestali volessero mantenere lo status quo.
Ci sono tante donne in questo disco: Carlotta, Barbara, Morgana, Francesca Mambro. Tutte con una ‘sensibilità’ propria, che qualcuno ha infranto. Tutte con una chioma da descrivere, una ricrescita a cui badare, e una storia complicata alle spalle. E se in Socialismo tascabile Max parlava di sua madre e dei colloqui a scuola, stavolta ci parla di suo padre, ed è un altro racconto difficile e delicato, che riesce ad infilarsi tra un piano e un synth che sembrano presi da un Atari degli anni ’80.
Tanti personaggi, tante facce. Storie che bisogna scoprire ascolto dopo ascolto, non ve le sto a svelare tutte. Vi dico solo che ne vale la pena, perché se anche la formula che ci aveva sorpresi tre anni fa non è cambiata di molto, si sente maggiore consapevolezza. C’è più cura nel lasciare un non-finito che, se ben osservato, ti manda dritto al pezzo che ti manca: stavolta musica e voce si avvicinano ancora di più, si confondono, arrivano sullo stesso livello. Non sai più chi è sfondo e chi è primo piano, ma sai che è un effetto voluto.
…e anche se non trovi il pezzo mancante, comunque è un’altra puntata degli Offlaga. E arriva in un momento in cui mi serve capire qualcosa in più di questa regione (l’Emilia Romagna), di questa città (Bologna). Dei suoi abitanti, delle sue multe. Di quell’orologio che guardo ogni volta che vado in stazione, e che segna sempre le 10:25.
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