Bugo è ormai diventato per Rockit come uno di quei cugini che magari non frequenti spesso, ma con cui senti un forte legame di sangue. Difficile mantenersi distaccati con lui, perché in fondo Christian rappresenta molti dei valori (o controvalori) che il mondo indipendente ha sognato, ripudiato, adorato, disprezzato. Un gioco a battimuro con un’impostazione culturale, comportamentale ed estetica che ha segnato l’incedere di una considerevole quantità di musicisti che hanno cercato di fare musica altra in Italia negli ultimi anni. E Bugo ne rappresenta l’essenza. Per chi lo ama e per chi lo odia. Il suo essere eterno artista di confine tra possibile incapacità e presunta genialità. Quel gioco infinito di cialtroneria e progettualità che gli ha consentito di galleggiare con credibilità tra il mondo del commercio e quello della Musica. Restando integro culturalmente, ma cercando al tempo stesso di vendersi senza svendersi, di apparire senza scomparire. Soliti discorsi, da anni. Ma dire sempre le stesse cose di uno che è sempre diverso restando inconfondibile, deve voler dire qualcosa. Bugo intanto continua a fare il cantautore a modo suo e stavolta è stato bravo davvero, perché scrive alcune delle sue canzoni migliori e le veste in un modo magnifico. Indubbiamente decisive le manipolazioni elettroniche di Stefano Fontana (Stylophonic) che sposta in alto la caratura dei pezzi con una produzione internazionale, trasformando la bassa fedeltà in eleganza ed assumendo un ruolo decisivo in questo disco. Ecco allora che “Contatti” diventa probabilmente il miglior disco di Bugo da quando… “era meglio il demo”. Perché musicalmente questo album ha un passo in più. Stilisticamente, qualitativamente. Per profondità comunicativa e per brillantezza degli arrangiamenti. Molto meno rock che in passato, anzi quasi per niente. Soprattutto pop elettronico pieno di tastiere, lievemente patinato da vacanze di Natale anni ottanta. Con quei glitch sparpagliati dappertutto ed i ricami sintetici a fare da techno-orchestrazione. Rino Gaetano che lo guarda sempre da lontano. L’eco di Battisti processato in plugin digitali. L’ombra di Beck sempre presente, ovviamente. E poi quel suo modo ciondolante di leggere la realtà e descrivere i dettagli quotidiani di una generazione in attesa, stanca di attendere e che prende con ironia la confusione da stallo contemporaneo. Attorno si muove quell’ambiente un po’ robotico che si emana dall’uso massiccio di computer e sintetizzatori, con una tendenza al groove minimale intrecciata ad armonizzazioni spaziali e giochetti electro danzerecci. Un po’ scazzato, un po’ romantico. Meno impazzito, più raffinato. Divertito quando canticchia filastrocche e malinconico quando si aggira in atmosfere più lisergiche. Surreale quasi come in “La prima gratta”. Sempre con la chitarra scordata a portata di mano e quello sguardo dolceamaro di chi sembra aver capito qualcosa che non dice. Insomma, Bugo.
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