Quarto disco per gli Egokid ed è come se fosse il primo: la scelta di scrivere testi in italiano è equiparabile a una vera e propria rinascita e frutta anche il passaggio nel roster di Aiuola. C’è da dire che “Minima storia curativa” è un gran disco, fatto di belle canzoni pop, costruite con sapienza nelle musiche, nei testi, negli arrangiamenti. La prima delle due uniche pecche del disco è che non si tratta di canzoni immediate: vi entreranno in testa e vi ritroverete a cantarle (alcune hanno le potenzialità per essere veri e propri anthem), ma solo dopo il quinto o sesto ascolto. Un difetto dal punto di vista commerciale, visti gli spazi che l’indie ha sui mass-media (inspiegabile la scelta suicida di avere come primo singolo per le radio “Anaffettivo”, canzone davvero bella, ma che è un lento: l’abc del pop rock sa che non si esce mai con un lento come primo singolo, ma come terzo), ma un pregio dal punto di vista artistico, perché si tratta di pop inusuale e ben fatto, che sa mischiare le influenze in modo imprevisto e originale.
La base del disco è un pop inglese di scuola Smiths, cui si mischiano brevi riff progressive delle tastiere (Genesis, Yes: non ci crederete, ma ci stanno davvero bene) e citazioni dalle più disparate provenienze, ma con un unico denominatore comune: la gaytudine. Già, perché disco – e band – sono dichiaratamente omo, e in questa Italia di preti che ficcano le mani nelle mutande di tutti ciò non può fare che piacere anche a tutti gli etero non omofobici like me. Così ecco che in “Milioni” il ritornello può ricordare la melodia di “Moon River” di Henry Mancini, colonna sonora di “Colazione da Tiffany”, gayissimo cult; in “Il cattivo” compare un coretto che maliziosamente canta “Batman” (vabbé, della sua storia con Robin lo sapete tutti, vero?); in “Fotoshock” la strofa esibisce una melodia che è quella di “Look at me” di Geri Halliwell, ma su accordi differenti. Tutto ben fatto e splendidamente arrangiato, da applausi.
C’è però un’altra pecca, in questo disco notevole e bello: una certa cripticità. Uno dei pezzi più belli del disco è “Arbasino”: splendido. Ma quanti sanno che 1. Arbasino è uno scrittore 2. Che è gay 3. Quanti di questi ascoltano gli Egokid? 4. Quanti colgono i riferimenti alle sue opere disseminati nel testo? E ci potrei mettere anche “L’orso”, in cui è ospite Francesco Bianconi dei Baustelle: quanti capiranno che si canta di un omaccione peloso? Ma il problema non è quanto gli etero capiscano, ma proprio quanto il mondo gay possa recepire, come meriterebbero, gli Egokid quali portabandiera: il gay medio italiano, infatti, è un tamarro come l’etero medio. Al Gay Pride in Versilia ci vanno Paola e Chiara e Paolo Meneguzzi; la canzone gay 2007 è stata “E Raffaella è mia” di Tizianona Ferro. Insomma, Egokid forse troppo radical chic. Ma vorrei che fosse chiaro: questo rimane un gran disco, per tutti, perché l’amore è amore in qualsiasi salsa, il disagio esistenziale pure, le canzoni belle anche. E qui ce n’è in abbondanza. Compratevele.
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