Per quelli che seguono i Fake P da tempo, o almeno da uno dei precedenti ed innumerevoli ep, questo lavoro suonerà alle orecchie come lo strano greatest hits di un gruppo al primo disco. La verità è che con l'esordio ufficiale e definitivo i Fake P segnano una volta per tutte l'affermazione del loro pop sbilenco, del loro talento compositivo e naturalmente delle loro fighissime magliette.
Quello che esce fuori da questo album ha un suono intrigante e sexy che -almeno in Italia- non sembra avere eguali; sto parlando del pop melodico e misurato che ha come stelle polari i Blur ("Last") e i Beatles ("Dead Boys Can Make It"), e che si schianta in un magnifico incidente con un'elettronica pompata da dance floor. E' un po' il pazzo esperimento in cui erano riusciti recentemente solo i Tunng di "Good Arrows", e che lascia incantati come le scintille di fuochi d'artificio negli occhi. Il sound esplode in coreografie colorate perché il gusto dei Fake P è tutto nell'eclettismo e nella spontaneità, in un'esuberanza musicale pur sempre inquadrata nel recinto di una composizione ponderata.
Nei quarantacinque minuti d'ascolto arrivano alle orecchie trapani elettrici sposati in estasi con le trombe, melodiche coi clarinetti, violini e chitarre gonfie, synth e sitar scordati, mandolini arabi ('oud) e organette giocattolo. Un casino di roba che si impasta in una fantastica orgia cangiante. Il pop-folk che stuzzica delle prime tracce scivola giù lento nell'elettronica à la Justice di "Turn Off Your Mind", per poi virare in forme plasticose stile Daft Punk, e ritornare di colpo al rassicurante pop di "Spherical" e alla corale e divertente ghost track "I Wish You Were Dead".
Sembra proprio che i Fake P siano riusciti a definire una cifra stilistica che li proietta dritti nell'olimpo della musica di qualità: un piglio eclettico e divertito, un talento dagli ampi respiri, un sound bifronte che funziona a meraviglia.
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