Pentolino's Orchestra nasce tre anni fa sui colli di Firenze. C'è un uomo pentolino, Paolo Moretti, che ama fare fuochi e incontrare altri fricchettoni in giro, come Mart, e ci sono tanti pentolini dove soffriggere pezzi di canzoni e pezzi di banjo, tastierine, strumenti di legno e di metallo, tanti pentolini da percuotere per accompagnare idee introspezioni trasporti folk e pop, tanti pentolini per fare rumore. Alla fine il succo di Pentolino's Orchestra mi sembra che sia proprio fare rumore, seguire in modo estremamente naif dei motivi forse cresciuti tra le piante e i cani randagi, e una lingua inglese scalcinata che canta cose come: “Forget your name forget your face...”, e quindi guardiamo in alto alle stelle, e non prendiamole troppo sul serio queste 19 tracce lo-fi fino a non crederci, venute fuori senza lavorio, ma inseguendo i perros e provando ad abbaiare come loro, immaginando una marcia in città, e riproporla con gli strumenti, e sentire tra i pezzi come il frinire delle spighe e la noncuranza ispirata dello strimpellare al tramonto. Il cuore, c'è il cuore che ha un inchiostro blues in Pentolino's O., ma scartando gli sfasi da “prove” dagli sfasi seri e proponibili, a mio parere sono interessanti solo poche tracce, come “I can bark”, “Making a mess”, che è d'incontenibile energia, “Life in office”, in acustica, cantata melanconica quasi soffiata, “Perros in vaiano valley”, strumentale con arpeggi desert, e la diciannovesima “God is not for me”, armonica e raucedini ubriache che dissolvono in rumori d'ambiente. In “Perros” c'è tutto il disordine strutturale e melodico con cui Pentolino's Orchestra vuole destabilizzare il senso comune, e c'è anche tutto il disordine che frantuma la forza di un ipotetico bel progetto.
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La recensione Perros di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2008-05-28 00:00:00
COMMENTI (1)
non trovo che il disordine rovini il lavoro, ma è proprio quello il punto di forza che rende unico quello che i figli della regina Vittoria chiamerebbero "song writing"