Dieci tracce. Dieci passi che ho visto fare in vari modi. Live su un palco estivo. Suonati in differita, sparati in cuffia e anche no. Raccontati a parole durante un'intervista. Dice "allora basta, esci dal tunnel". Eh no. Questi Proiettili Buoni ce li ho addosso da tempo, infilati nella carne senza infezione alcuna se non quella del piacere. Un masochismo musicale di cui resto volutamente bersaglio. Passi in digitale e vinile. Modernità e nostalgia di forme che fanno variare la percezione di identici contenuti. Eleganza semplice.
Se vi piacciono le etichette chiamateli progetto sonoro "parallelo", supergruppo o robe così. Ma la vera essenza la troverete nel cd più vinile con unico denominatore comune: il suono dal vivo senza sovraincisioni o correzioni. Nudo. Suono vivo che si moltiplica per tre. Quello del live del 4 gennaio 2008 al "Viper" di Firenze. Quello delle registrazioni a porte chiuse e cuore aperto in sala prove del giorno prima. Quello dei provini originali registrati su multitraccia nel 1999/ 2000. I primi li trovate sparsi sul cd, mentre la memoria che fu è affidata al vinile, per ovvia coerenza tra intenzione e supporto materiale. Revisionismo? Mancanza di nuove idee? Bastardaggine nel costringervi a rispolverare quel Phorens TD 321 e fare relativa regolazione dell'antiskating del braccio Mission? Macché. Piuttosto due fotografie. Prima e dopo. Per il gusto di scovare le differenze ma con la rassicurante certezza di riconoscere comunque la faccia. Perché il bello è che i Proiettili Buoni non suonano Novanta. Suonano vivi. E l'arte che vuol definirsi tale, fa così. Punta a durare, pur figlia del tempo e del contesto che la produce. Così "gli anni in tasca del genio che timbra il cartellino" sono propri gli stessi che se frughi bene hai oggi nella borsa, anche se preferivi di no. Insomma, una resurrezione, se più vi piace come concetto. Perché quando si punta al nucleo è così, lo ritrovi al di là di tempi, istanze e geografie, al di là di vestiti ed affermazioni. Il nucleo resta nella memoria e se ne fotte delle circostanze estemporanee. Anche della cenere che lo ricopre. Perché basta un colpo di mano ben giocato per riportarlo alla luce. Allora vale la pena prendere la mira e sparare in giro quel che era rimasto nel cassetto, solo sporadicamente manifestato allora, in quella fin de siècle che vide Marco Parente, Paolo Benvegnù, Andrea "druga" Franchi e Gionni Dall'Orto annusarsi con l'idea sempre più consapevole di poter essere anche un gruppo. Passato e presente in continuità per parole che cadono leggere "come un sacchetto pieno di vento". Un album onesto, cantautoriale ma non troppo, che osserva e scarnifica le cose, colpisce e ferisce senza offendere mai. Che suona bene, ritmico e rock, armonico e potente anche nella delicatezza di una "Farfalla pensante" che "divora il mondo" -altro che favolette da ali leggere- o in "Karma Parenti" o "Poesia Cieca". E come perla, l'omonimo inno. Omonimia che non rappresenta mancanza di fantasia ma la coincidenza tra il senso dell'album e la loro essenza. Una cura, I Proiettili, non invasiva e indolore per un male che ancora non sai definire. Un viaggio in cui i binari delle rispettive e singole esperienze si mischiano bene e senza rimpianti e più non conta chi ha fatto cosa. E lo senti perché non li senti più, come attori sul palco che indossano maschere identiche. Perché su tutto prevale la capacità di giocare con suoni e parole senza scherzarci su, un gioco serio e per questo molto divertente.
Dicono i Proiettili che con questo lavoro si riconsegnano un minimo alla storia. Il punto è che non ne erano mai usciti. Stavano solo fuori dal palco, nel cosiddetto osceno, ovvero quel che, nel teatro antico, accadeva fuori scena e doveva quindi essere evocato. Non li vedevi ma c'erano. Costituivano il non detto che sosteneva lo spettacolo in corso. Da oggi le assi in legno scricchiolano di nuovo al passo di quattro cecchini buoni che tornano in scena. E, per cortesia, non difendetevi.
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.