Aucan
Aucan 2008 - Sperimentale, Progressive, Post-Rock

Aucan

Scomposizioni e ricomposizioni, destrutturazioni, complesse inventive stritolano note convulse che lentamente si sgonfiano. Caldo e glaciale, forte e soffice, sereno e minaccioso, spettinato ed ordinato. "Aucan" è così

Questo è un progetto serio. Che si inchioda nella pelle senza se e senza ma. Non ho il minimo dubbio, e sono passati solo tre minuti dallo scricchiolio che fa da apripista: una chitarra si affila per preparare la sua ascesa insieme a gocce emollienti di synth e alla batteria, vera bomba indiscussa, che con i suoi colpi scomposti ed incessanti, segna in profondità ogni singolo pezzo.

Spigoli di math rock scendono a cascata attingendo dai tratti distintivi di Tortoise (soprattutto per l’abbondante utilizzo di melodie suonate da xilofoni), Battles e Don Caballero. Strumentale. Fatto di strumenti precisi che incidono per le loro straordinarie individualità e tracce seducenti di elettronica che si amalgamano per dare forma ad un magma incandescente di suoni ribelli. Magia dissonante è “Reset”, seguita dalla furia combattente di “Iena” che si accanisce martellando come gli Shellac hanno insegnato (qui c’è il basso imponente di Giulio Favero del Teatro degli Orrori, già One dimensional man, che troviamo anche al mastering del disco insieme a Giovanni Versari). “Urano” si acquieta in armonie disarmoniche e in tastiere incantate, per poi innervosirsi. “Ac ha b” è bizzarra anche nel titolo: un turbine rivoltoso di macchine sonore cinguettanti subiscono pressioni per produrre congegni ardimentosi. Flash di Radiohead e Fugazi in alcuni passaggi. Scomposizioni e ricomposizioni, destrutturazioni, complesse inventive stritolano note convulse che lentamente si sgonfiano. Caldo e glaciale, forte e soffice, sereno e minaccioso, spettinato ed ordinato. "Aucan" è così. Dirompente e tenue. Divagazioni fluide lacerate di colpo da lancinanti tormenti. Dolce e bestiale allo stesso tempo, che improvvisamente traduce la voluttuosa scansione di battiti in ardenti fragori mitigati da onde intense di synth. Spruzzatine dub nel mezzo di consistenti e dilatati sbattimenti strumentali. Ticchettii ipnotici, riff contorti che minano l’apparente pacatezza dei pezzi, che arroventano una battaglia sonora decisamente già infuocata. Un disco frantumato in copertina ne è l’emblema. Undici massicce colate di sudore. Quarantacinque minuti esplosivi che decretano un debutto col botto del trio bresciano, già in partenza meritevole di lodi.

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