"Non so come ma arriverò puntuale". Se lo dicono da soli. E alla fine arrivano, puntuali. Con un disco che ha bisogno almeno di una decina di ascolti prima di capirci qualcosa. Prima di riconoscere che sì, è un bel disco, è fottutamente complicato e non è vero che è la solita roba targata Marta sui Tubi.
C'è tutto, in questo "Sushi e Coca". Ci sono le accelerazioni, le aperture su cui ci hanno abituato a scendere o salire, armonicamente parlando, i momenti di pathos, quelli incasinati. Gli scioglilingua. Ci sono i colpi al cuore, quelli che tagliano l'aria in mezzo come farebbe un vecchio cuoco giapponese che il sushi lo taglia con la sciabola dei samurai. E poi c'è la giovialità della coca, non necessariamente nella sua versione bianca. C'è lo squallore di un monolocale milanese, la voglia di massacrare tutto e tutti, un coro di voci bianche che fa tanto zecchino d'oro (e in effetti lo è). Un labirinto di suoni a volte anche spettrali, inquietanti: voglia di urlare, di farsi sentire, di farsi toccare. Di bussare alla porta di Dio, non prima di aver ammesso che le paure più grandi sono quelle che abbiamo tutti: la paura di essere umani (perché lo siamo, esseri umani).
Molte le canzoni strutturate come trittici, la title track per esempio. Milano, da tutti i punti di vista: nevrosi metropolitane che la musica assorbe in pieno e mentre il trittico ti scorre davanti, cambia consistenza insieme ai suoni, che via via si fanno più densi. Tanto densi che cominciano a sgocciolare, a lasciare pian piano, come un maledetto rubinetto aperto che non si chiude più, gli indizi per ricostruire tutto. Con tanto di arpeggi martellanti sotto che, improvvisamente, si trasformano in fughe sui tasti del piano, mentre il castello di carte si sfascia e tu con fatica ricominci a sistemarle. Una densità fatta da architetture e arrangiamenti complessi, sarà anche per via del gruppo che si allarga alle tastiere e delle gocce che cominciano a cadere sempre più pesanti e piene, sempre più veloci. La voce di Giovanni è la chiave di volta di questa nuova versione finalmente a tutto tondo: semplicemente, una delle migliori voci che l'indie nazional popolare ci offre. Un vibrato senza smagliature, che gira su stesso con estrema ironia. Talmente versatile che nei punti in cui sembra spacchi tutto, davanti hai Eolo che soffia via tutte le nuvole del mondo, con una potenza contagiosa in grado di cimentarsi, poi, con parole tutte attaccate sempre ben scandite e ad alto impatto semantico.
Un disco completo, che finalmente non ti lascia con quella sensazione di non-finito addosso. Un secchio che ti rovesciano dal quinto piano di un grosso condominio: per asciugarsi ci vuole tempo. Per drenare l'acqua, ricomporsi, e uscire a comprare quel cartone di amore a lunga conservazione che in frigo, ahimè, non c'è. Non ancora, almeno.
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