Chi scrive ha scoperto la Scraps Orchestra grazie alla radio, in una di quelle occasioni in cui l'etere di Stato dimentica per qualche attimo di correre dietro ai network strizzacervelli e decide di mettere da parte la piattezza della play-list. Fu un incontro felice, con una band sospesa tra rock d'autore e jazz, entrambi legati da una particolare cura dei testi, capaci di svariare tra politica, orrore per la guerra, malinconia e un pizzico di ironia, il tutto messo insieme in un album bello e affascinante come "Il diavolo di mezzogiorno". A quasi un lustro di distanza da quell'esperienza, la Scraps Orchestra torna senza tradire le proprie origini, tanto che "Nero di seppia" può considerarsi la naturale prosecuzione del suo predecessore, del quale sembra ricalcare le stesse passioni e i medesimi propositi. Naturale, quindi, che ci sia spazio abbondante per ricordare la Resistenza ("La staffetta") e uomini come Giovanni Falcone ("Da casello a casello") o Pier Paolo Pasolini (la stupenda "Bagnasciuga"), per fare i conti con le stragi senza colpevoli ("Dodici dicembre") e mettere alla gogna la classe politica della nostra povera Italia ("Lifting", dedicata al centrodestra, "Bravo, grazie", tutta per i cosidetti progressisti: perfetta par condicio, insomma…). Per i suoi racconti, il collettivo lombardo si sposta facendo capolino in direzione Tom Waits, senza dimenticare la tradizione (basta ascoltare "Donna lombarda") e il ricco repertorio cantautorale del nostro Paese. Funziona tutto per bene qui dentro, al di là di qualche rima non proprio al bacio e un incontro con l'elettronica ("Nudi alla meta") che sarebbe stato meglio evitare, però guai a lamentarsi, anche perché l'intero ricavato della vendita del cd finirà nelle casse di una Onlus che si impegnerà a costruire una casa alloggio destinata a persone disabili. E allora, cosa volete che siano 10 euro?
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