Era quasi un anno che aspettav(am)o questo disco, con delle aspettative altissime, sia perché l’esordio di “Double penetration” aveva favorevolmente impressionato, ma anche per il fatto che Joe Leaman prometteva un album di grandissime canzoni. In realtà il promo che avevo ormai in mano da 10 mesi era stato sempre in mezzo a quelle colonne di cd che ‘devi tenere sempre in vista’, ma alla fine gli ascolti non sono mai stati troppi e, dico la verità, convincenti neanche più di tanto.
Nel momento in cui, invece, metto su la versione definitiva, sembra di sentire altra roba: è da ormai due giorni che questo “Crappy barband shocklrock” gira incessantemente nel mio lettore - e penso sempre più frequentemente, visto che non faticherà a finire in cima alle preferenze dell’anno 2000. Il trio suona sempre la stessa musica del disco d’esordio, ma non so come e perché, stavolta le azzecca tutte: l’iniziale “Dim Harry as variant” gioca su ritmi ska (!!!), ma invece ha l’attitudine ‘pavementiana’, mentre nella successiva “Nuclear dolls” emerge senza dubbio alcuno la vera cifra stilistica dei nostri: basso a ricamare ‘di prepotenza’ sulle melodie delle chitarre, mentre la voce di Gianca ti fa venire in mente i migliori episodi ‘pop’ dei Sebadoh.
In tutto il disco si sente fortemente certo indie americano, ma è fuor di dubbio che Joe Leaman può veramente competere con certi nomi della stessa scena: basta prendere l’incalzante “1.000.000 $ (Single of the week)”, una di quelle classiche canzoni rock che fatichi a sintetizzare con le parole, perché è allo stesso tempo ‘classica’ e, a suo modo, ‘originale’. Ma il meglio deve ancora venire: “Easily updated” comincia in punta di piedi e poi diventa una cavalcata rock (ancora una volta!) di 6’ assolutamente irresistibile! Segue poi “Cal”, più ‘grezza’ e vicina alle atmosfere di “Double penetration”, e subito dopo “Dirge”, un capolavoro nel capolavoro; il brano inizia con la voce di Laura e sotto una chitarra acustica, quando ad un certo punto entrano gli altri strumenti e ti ritrovi, fra questi, gli archi, arrangiati splendidamente per un pezzo da manuale.
Stessa struttura, anche se con ritmi diversi, si ritrova nella conclusiva “Summer is the season for a beer”, traccia dall’andamento ‘bittersweet’ con splendide chitarre ‘soniche’ nel finale. A questo punto non ci sarebbe molto altro da aggiungere se non che ribadire la solita cosa detta finora in vari modi; e ovvero che questo è un disco della madonna (!!!) che non vi stancherete mai di ascoltare se il rock è il vostro pane quotidiano!
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