i quattro piemontesi sono dei veri e propri fuoriclasse nel panorama del rock, e non solo quello di origine italiana.
E così i Marlene Kuntz giungono al loro quarto album, se escludiamo la raccolta live e l’ibrido Come di sdegno, presentandosi con questo Che cosa vedi, dopo un’imponente campagna mediatica attraverso il sito mk-2000.net e forti dell’appoggio promozionale e distributivo targato Virgin. Non sono cambiati solo alcuni fattori in termini di marketing, vista e considerata la mole di novità presente tra i solchi dell’ultimo disco. Prima fra tutte la presenza di un'ospite pesante come Skin, vocalist degli Skunk Anansie e qui impegnata a duettare con Cristiano su La canzone che scrivo per te, a tutti gli effetti uno dei momenti peggiori della discografia Marlene – e dispiace notare che nessun ‘kritiko’ abbia avuto il coraggio di scriverlo.
Per tutto il resto la macchina Marlene viaggia a pieni giri, tanto che l’uno-due iniziale è alquanto indicativo, quasi a ricalcare l’incipit di Ho ucciso paranoia: Cara è la fine è il classico episodio arrabbiato che caratterizza l’apertura di ogni disco della band, mentre Serrande alzate si sintonizza sulle stesse frequenze sonore de L’abitudine – e aggiungiamoci anche La mia promessa e Malinconica. Subito dopo il singolo Canzone di oggi, di cui abbiamo già detto consigliando anche l’acquisto nella versione tre pezzi con interessante traccia rom.
Piace molto anche L’abbraccio, altra ballata dal tipico dna kuntziano che stavolta si arricchisce di mellotron e synth, scelte azzeccate per non rimanere ancorati agli standard dai quali la formazione cuneese ha finora attinto a piene mani. E fa piacere che anche in Due sogni, dove strambe aperture melodiche si alternano agli inserti chitarristici che conosciamo, la band prosegua quel discorso. Chi mi credo di essere è un assalto sonoro, un ritorno alle atmosfere elettriche ed elettrizzanti; sulla scia Quasi 2001, giocata su interessanti chiaro-scuri, anche questi tutt’altro che nuovi nella produzione del gruppo. Con la penultima E poi il buio il quartetto sembra ritornare sulla strada della sperimentazione – ascoltate l’inedito uso che Cristiano fa della sua voce, senza contare i ricami della sei corde di Riccardo –, completando il percorso nella traccia finale Grazie, entusiasmante episodio in cui vengono zittite le chitarre – almeno per i primi due minuti – e si dà voce a organi e pianoforte.
Che cosa vedi, somministrato in piccole dosi via via sempre più sostanziose, è un’altra prova che i quattro piemontesi siano dei veri e propri ‘fuoriclasse’ nel panorama del rock, e non solo quello di origine italiana.
Tutto il resto, oltre la musica, sono chiacchiere di contorno.
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La recensione Che cosa vedi di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2000-10-27 00:00:00
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