Probabilmente sarà stata la voglia di reggere il ritmo di una pubblicazione all'anno dal lontano 2003. O forse la band romana avrà voluto raccogliere il meglio dei primi sei anni di vita per volgere la propria produzione verso nuove sonorità e melodie. Non ci è dato sapere la verità, ma questo album non è altro che un greatest hits: solo tre delle undici tracce sono inedite. Difficile capire il senso di questa operazione, se non nelle papabili soluzioni sopracitate. Del resto, non lenisce la delusione sapere che i brani già editi siano stati riarrangiati e ricantati (con esiti alterni, considerando che se "Erasing Mind" ne esce migliorata, "Commercial" e "One Shot Hit" perdono tutte le venature elettroniche e l´irruenza rock'n'roll).
"The Fast Century" è inquadrabile nell´ambito indie/new-wave, un genere che seppur spremuto in quantità industriali nell'ultima decade non sembra ancora destinato alla pensione: una sottile linea collega gli Strokes ai primi Franz Ferdinand passando per i narcisisti Kooks e i geometrici Bloc Party (il cui fantasma aleggia sull'intro della splendida "Untitled", miglior brano dell´album). Dalla loro, gli Shadow Line ci mettono ritornelli da killer song, melodie ad alto tasso di memorizzazione, una voce piacevole e sfumature vintage, anni 80, che penalizzano in parte la qualità del suono, appena sopra la sufficienza. E certo, si sorride all'ennesima citazione in "The Crash" di "My Little Brother" degli Art Brut, pezzo già ripreso dai Allegri Ragazzi Morti e per il quale, a questo punto, noi italiani sembriamo avere una sorta di fissazione.
Seppur ripetitivo nelle sonorità, "The Fast Century" è da considerarsi un buon lavoro, quantomeno per chiudere una parte della carriera e ricominciare con qualcosa di veramente nuovo. Perché - chiedo alla band - è per questo che avete registrato questo disco, giusto?
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