Aspettavo con impazienza il nuovo lavoro di Cesare Basile. Supponevo che ormai si fosse perso, come in fondo era già successo per alcuni personaggi della scena catanese (i FLOR su tutti), partiti tutti con le stesse motivazioni e scivolati poi su chissà quale vicenda legata al mercato e alle vendite.
D'altronde dopo un lavoro come "La pelle", che il sottoscritto considera una colonna portante del rock nazionale, da "Stereoscope" ci si poteva aspettare di tutto, ma rimaneva sempre e comunque quel punto interrogativo legato alla famosa necessità di replicarsi agli stessi livelli del precedente disco.
Ora ci troviamo di fronte a 13 composizioni, con in più una (inutile) ghost-track, che fanno il punto sulla ispirazione del nostro; ricordiamo pure che questi nastri hanno alle spalle diversi anni, sono stati proposti a svariate etichette, ma alla fine la Black Out si è fatta avanti, consentendo così la pubblicazione dell'album.
Diciamo subito che Cesare non si smentisce per quanto riguarda l'aspetto 'qualità': il suo rock che già conoscevamo è mutato, per certi versi è meno spigoloso se ricordiamo la magica esperienza dei QUARTERED SHADOWS. In molti occasioni viene da pensare all'aggettivo 'intimista', soprattutto se si presta attenzione a tracce quali "Cgdfce", "Dove finisce l'isola", o anche la splendida "Sul vetro". Ma l'artista si spinge oltre: si confronta con le drum-machine, e se ci sono episodi riusciti come "Senza resistenza" (si richiamano atmosfere care ai LA CRUS), altri episodi quali "Dai tuoi nomi" o "Good bye" evidenziano l'eccessiva confidenza con arrangiamenti poco convincenti.
Naturalmente non mancano brani come "Incendiami la vita", "10.000 anni" e la title-track, spruzzate di rock che servono a ristabilire equilibri interni.
Alla fine "Stereoscope" piace, non c'è che dire; fosse stato un tantino più istintivo e meno ragionato avrebbe forse guadagnato in 'calore'.
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