"Servo in quello sterco che cosa si muove / niente di degno di menzione. [...] Ecco il furbo coglione, il buon borghese tagliagole, ecco il tutore dell'ordine torturatore, ecco i bastardi della prossima occasione. [...] Molto divertente signore."
Inizia così "Tarlo Terzo", ed è un viaggio al termine di una notte soffocante, con i finestrini appannati da un crescente ansimare inquieto, perchè ti manca il respiro quando incontri i tuoi occhi nello specchietto retrovisore: chi sei stanotte? Le gocce di pioggia scivolano sul parabrezza, i colori degli spettri che inseguono sé stessi nelle strade buie della Città si fanno più vividi: e non puoi fare altro che osservare e proseguire il viaggio, sentire l'arsura asciugare la bocca, provare a sporgerti dal finestrino, spalancare come un animale le fauci cercando refrigerio nell'aguzza pioggia nera che continua a cadere, ma "L'Aria taglia" la pelle nuda e sudata sulla tua schiena. Cerchi allora rifugio tra le stoffe del sedile, tremi di nervosismo, "Ci vuole molto fumo e molto caffè" in notti come queste, vai ripetendo che "Ci vuole molto fumo e molto caffè". Hai freddo ora, ma un freddo arido che sembra proliferarsi dentro, "dall'esofago giù al femore", come se nelle vene non scorresse più quel sangue così caldo e così rosso, quel sangue così caldo e così rosso da Lui versato e a cui ti appelli quando sfili davanti al sagrato ("Lui verrà per punire inesorabile e fiero / lui verrà in armi per imporre il suo impero").
(Intervallo: novembre è il mese più crudele, lo sappiamo, ma è una gioia veder rispuntare i Bachi dalla Terra. "Tarlo Terzo" è a mio modesto parere il loro disco più coeso e potente, profondissimo-abissale-catacombale e non saprei descrivere a parole quanto scende e scava dentro l'animo questo blues oscuro e scarnificato, quanto la poesia di Giovanni Succi sia a volte talmente indecifrabile da risultare così lampante nella sua teatrale visionarietà, quanto le ritmiche di Bruno Dorella siano così complessamente elementari flirtando con una visionaria elettronica minimale. Un lavoro tremendo, ma affascinante come niente e nessuno nel 2008).
Un improvviso lampo di luce, è finita: intorno a te c'è un silenzio immobile, intorno a te tra le ragnatele "Ingombri di armadi e vecchi bauli con dentro corredi e ricami tarlati". Muovi i tuoi passi tra la polvere del solaio, cerchi di ricordare il perchè degli oggetti e del loro abbandono. I tuoi passi che fanno cigolare le assi della scala mentre scendi, ti senti così in bilico che vorresti sparire, proprio come un oggetto dimenticato nel buio. Hai paura di cadere, non vorresti cadere, ma fortunatamente hai deciso di continuare a camminare di continuare a scricchiolare, e la torcia che hai con te illuminando il passato ha gettato luce sul tuo domani. Hai capito.
"Avere nausea di trame e non poter sparire: è quello che accade se per caso si vive. Si sboccia in un dove, e poi rock'n'roll"".
E se non hai capito non fa nulla, perchè da qualche parte nel mondo ci saranno sempre un angolo sudicio e una notte per dilatarsi nel caos che ti aspettano.
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