Un buona notizia e una cattiva. Quella buona è che agli Elettronoir va riconosciuto il merito di dare seguito a quella scena, ormai in via di estinzione, di elettropop cantautorale dalle marcate tinteggiature notturne che trova validi proseliti in personaggi come Dierrekappa, Colloquio o, se vogliamo, per alcuni versi, gli stessi Offlaga Disco Pax; quella cattiva è che questo disco non riesce ad angosciarmi come dovrebbe (e vorrebbe).
Una intro folgorante che lascia presagire atmosfere claustrofobiche alla Runes Order (per intendersi) e poi via, verso sillogismi musicali suggestivi quanto poco arditi: è l'inaspettato buonismo melodico (forse camuffato da raffinatezza) che pervade il disco a lasciarmi un po' d'amaro in bocca, in contrapposizione a liriche ferali che invece "suonano" bene e storicamente in linea con quelle produzioni musicali noir che si ispirano alle colonne sonore dei gialli italiani anni 70 e alla cronaca nera.
Colpa del mio integralismo che fa spesso capolino in questi casi ma quando si tratta di raccontare "storie torbide e maledette" pretendo la cattiveria più corrosiva (si ascolti "X: final solution" dei già citati Runes Order) o, al massimo, l'antitetica trasfigurazione pop alla Baustelle: qui siamo esattamente nel mezzo, come in un limbo, e solo laddove la tensione si fa più lugubre (la pasoliniana "Non un passo indietro", "Berliner", "Cruel") la band capitolina vola altissima, mentre sui restanti episodi si rilassa in una successione di romanticherie new wave/soft-dark - ulteriormente edulcorate dalla splendida voce di Georgia Colloridi - che graffiano senza però far sanguinare.
Un disco piacevole, ben arrangiato, cinematograficamente evocativo, da gustarsi durante un solitario girovagare notturno per le periferie della capitale, ma tuttavia non abbastanza inquietante per indurti ad accelerare il passo nei vicoli più bui e minacciosi.
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