All'interno di una dimensione narrativa acronica si sviluppa il racconto di una dimensione interiore profonda in cui il microscopico diventa titanico, e l'individuo assume le fattezze del mondo: le lacrime si confondono con la pioggia, il giorno muore, e c'è una luna da spaccare le pietre, e il contatto del pianto col suolo è uno stillicidio.
È un racconto d'amore, perché ogni storia è una storia d'amore, e di guerra, perché in ogni appartamento ce n'è una in atto, tacita e rumorosa, greve e superficiale.
Un racconto di universale che si fonde col particolare e si confonde nel dinamismo del tempo, che fluisce come la marea e lascia sulla riva le scorie del trascorso.
L'attività vitale s'interseca con i fatti della vita stessa, da cui germina l'ispirazione. E così, un grido dirompente prende vita dai bambini che giocano a rompersi le ossa, dai giubbini della levi's che non calzano più, dalle cicche nella cenere, dalla rivalsa e dalla liquirizia, dal rumorifico vuoto acustico dei luoghi che prima erano abituati a risuonare, dalla domata inarrestabilità del mondo, che si ferma col temporale.
E ogni rumore si spegne nella convivenza con sè stessi, nell'autocomprensione, nell'accettazione di un senso di felicità che resta borderline, perché, semplicemente, a volte "la felicità è soltanto un dettaglio, si perde nei bordi e non lascia segno".
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