Living on my own

Ti svegli, sorseggi un caffè insipido in attesa che il cervello ristabilisca tutti i contatti col resto del corpo, e sei già a controllare, con disinteresse ma non troppo, il tuo profilo di Facebook.
Sei abituato a rapporti sociali che si consumano, si esauriscono, si buttano via, immerso nelle frustrazioni e nella freneticità della vita quotidiana.
Solo.
Nel 1985 Freddie Mercury prende la penna in mano e decide di descrivere tutto questo in un pezzo, che diventa un successo mondiale.
Oggi noi prendiamo “Living On My Own” e la ricantiamo, prendiamo il messaggio di Freddie e lo facciamo nostro. Perchè?
La realtà è che non siamo stati noi a scegliere questa canzone, è stata lei a scegliere noi.
Una silenziosa notte di Aprile, durante le registrazioni di “Find the difference“, dopo una di quelle cene in cui il vino scorre che manco te ne accorgi, Cipo barcolla in disparte, lo sguardo fisso a terra, un po’ distaccato dalla realtà come suo solito. Poi comincia a cantare.
“Dee do de de“.
Forse è colpa del vino, o del silenzio malinconico che accompagna le notti di periferia. Ma basta uno scambio di sguardi, un sorriso collettivo, e neanche 20 minuti dopo siamo di nuovo sottoterra, galvanizzati, per riarrangiarla e registrarla.
Cantare un pezzo di Freddie è una sfida, significa confrontarsi con una delle voci e delle menti musicali più grandi degli ultimi 50 anni.
Ma significa anche veicolare un messaggio, un modo di sentire, di fare musica che ha influenzato intere generazioni.