Quest’album non ha titolo, o meglio, come opera prima porta il nome della band.
A dare inizio alle danze, una parata circense accompagna l’ascoltatore in un mondo bipolare, che unisce il raffinato al grottesco, Swing patinati a sperimentazioni intraprendenti.
Le sonorità sono genuine, pure e sincere. Aiutano a proiettare chi ascolta il disco nei luoghi descritti dai vari brani: a volte si corre disperatamente in un deserto, altre ci si fa cullare dal mare di un’isola tropicale per poi essere catapultati in un circo o in una vecchia stanza d’albergo.
I testi sono fantasiosi, a volte iperdescrittivi, contraddistinti dalla passione del cantante per le arti magiche e circensi. La musica è un matrimonio tra diversi stili, ma per lo più focalizzata verso lo Swing, il Rhythm'n Blues e il Rock’n Roll.
Non bisogna stupirsi se ritmi ossessivi, lasciano inspiegabilmente spazio a giri di valzer o se nel disco si passa da toni cupi a scherzosi in un batter d’occhio, perché questa, apparente, doppia personalità del gruppo, in realtà rivela grande coesione ed affiatamento. Uno stile ben definito. Lo stile unico di Slick Steve and the Gangsters.
ll concept grafico dell’album è stato affidato a “Stilemio”, un circolo culturale di artisti itineranti, con il quale la band collabora da sempre anche nella realizzazione di materiale video, fotografico e cortometraggi.
Il disco è stato registrato, mixato e masterizzato negli studi della “Go Down Records” di Savignano sul Rubicone da Alfredo “Epi” Gentili.
Il progetto vanta anche due “ospiti”: in Strait Jacket Swing, come voce nel ritornello, è stato chiamato l’amico Andy Mcfarlane (chitarrista e cantante dei Rock’n Roll Kamikazes), mentre Liberty bell March, primo brano del disco, è stato arrangiato, suonato e registrato in Inghilterra da David Hogan, cugino di Slick Steve. Fondamentale è stato l’intervento di Carlo Poddighe per la registrazione della voce principale in tre brani contenuti nel disco.
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