MI AMI 2023 è stato un viaggio incredibile. Come prima cosa - la più banale ma la più importante - dobbiamo dirvi grazie. Con tutta la profondità del cuore che crea vertigine. Con tutta la cazzimma di un abbraccio commovente. Con un bacio a stampo dato subito dopo, e un sorrisone a chiudere.
Per Better Days è stato il più importante investimento mai fatto, a dimostrazione di quanto e come vogliamo bene a questo festival che è ormai un organismo che vive di vita propria, che ha un suo carattere un po’ ribelle da diciassettenne (19 sul campo), che vuole diventare grande senza però perdere di vista i valori della sua adolescenza. Forever young!
PIù si posa la polvere di stelle che si è alzata in aria - quella che ci ha fatti arrivare, un po’ come atleti in fase acuta di performance, a esperire di un flow che è esso stesso magia - più l’emozione e i sentimentalismi rischiano di travolgerci. Occorre essere attenti.
Di solito in questi casi la prassi comunicativa è autoelogiare la propria follia e crogiolarsi un po’, prendendosi quei meriti che gli altri non ti daranno mai (e che comunque, voglio dire, nascono da una comprensibile lettura dei fatti: fare eventi è una roba da matti). Eppure. Comodo ma come dire poca soddisfazione.
Non avendo alcuna velleità da scrittore o artista, questa analisi sarà un po’ fredda. Serve soprattutto a me per capire meglio alcune cose. Spero di non togliere nulla all’intensità e alla bellezza di ciò che abbiamo vissuto (per quella ci sono i ricordi, oppure il gruppo Telegram <3), ma ho bisogno di usare la noiosissima razionalità per provare a mettere un po’ di ordine a questo caos che c’è in testa.
Proverei a concentrarmi sugli errori, sulle situazioni marginali, sulle periferie. Dentro questo caos c’è in filigrana qualcosa che è nato, pronto a muoversi, a formarsi, a delinearsi. Anche se ancora non lo vediamo bene, non lo possiamo ancora afferrare. Chi cerca trova, chi non cerca viene trovato.
MI AMI come pianeta, MI AMI come atto. MI AMI come festival, MI AMI come community. MI AMI è un ecosistema.
GENERAZIONALE
Il live di Cosmo a MI AMI 2023 è stato catartico, festoso, risolutorio. Chiude un cerchio: arriva dieci anni dopo il debutto live assoluto, avvenuto proprio a MI AMI nel 2013. Quando le caratteristiche di questo ecosistema musicale e socio-culturale erano diverse.
“La verità” - pezzo bellissimo, composto assieme ad Alessio Natalizia, su cui ha voluto chiamare sul palco 30 persone del pubblico, così per metterci un po’ alla prova a livello di gestione dopo tre giorni lunghi e intensi - ha il potere di raccontare la mistica della dispersione individuale nel ballo all’interno di una cornice generazionale. Il tutto senza spiegare niente, invitandoti a usare il corpo e non aver paura di lasciarsi andare.
Il passaggio che preferisco è “Che resterà di tutto questo? Chissà se lo racconteremo” perché è come se fosse una diversa risposta alla stessa domanda di Vasco Brondi sugli anni Zero: “chissà cosa racconteremo ai figli che non avremo”. Vasco nella stessa serata, in Collina, riaccendeva le Luci dopo cinque anni letteralmente commuovendo le migliaia di persone sotto al palco.
Cosmo (1982) e Vasco (1984) hanno più o meno la stessa età e dopo aver combattuto in maniera diversa i conflitti e le contraddizioni dei loro vent’anni hanno capito che avrebbero dovuto trascendere. E lo hanno fatto. Chi perlustrando la mistica del dancefloor, chi la mistica della poesia.
La loro scelta di essere a MI AMI 2023 ci rende orgogliosi di essere parte di un percorso, di un’evoluzione, di un prima e un dopo che restituisce profondità. Me lo ha fatto capire Frah Quintale in un messaggio arrivato l’indomani della eccitante esibizione unexpected con Coez, il sabato notte, a presentare il loro joint album. “Mi siamo sembrati risolti sotto tanti aspetti”, mi ha scritto.
Non credo sia opportuno chiamarla nostalgia. T.S. Eliot diceva che quello che spesso chiamiamo inizio è in realtà la fine, che finire significa iniziare, che è la fine il punto da cui partire. È stato semplicemente un momento fortissimo, collettivo e naturale, che ora ci permette di guardare avanti senza più alcuni nodi con il passato.
LUNGO I BORDI
L’anno scorso Ele A e Brucherò nei pascoli si esibirono sul più piccino - ma sempre mega interessante - palco del festival. Quest’anno li abbiamo ritrovati rispettivamente su Sephora e Idealista con una discografia più ricca, un pubblico più consapevole e una traiettoria di crescita importante.
Quando leggo in giro che la musica (metti tu l’aggettivo che preferisci) è finita mi si cringia il sangue. Mentre l’intelligenza artificiale potrebbe comporre tutte le discografie senza più bisogno degli artisti, c’è chi preferisce discutere con le categorie del Novecento. È ovviamente più facile notare la parte più esposta, quella più masticata, mentre più complesso è occuparsi di ciò che è ancora in fase di codifica. Che necessiterà tempo, che subirà sconfitte, che dovrà dimostrare d’essere materiale resistente. La parte che nella fotografia larga forse sta lungo i bordi, eppure dà senso a tutto quanto.
Faccio qualche esempio. Io sono felice che MI AMI abbia saputo intercettare così in profondità una realtà come quella del Thru Collected, con Alice e Altea live con band, o Yasmina e Mont Baud. Che ICO & I Casi Umani abbiano elevato il livello di panza, che Emma Nolde possa dirsi già una veterana a 22 anni, che la galassia orbitante attorno a Funclub - da Tony Scorpioni ad Abe - possa trovare nel festival un interlocutore sensato. O che il mondo legato a Chullu, da Il Mago del Gelato a Addict Ameba, abbia trovato posto qui.
Significa che siamo vivi, e vivere significa dialogare, conoscere, capire. Questo è l’ecosistema che intendiamo, che sarà mentre qualcosa già è. Il qui e ora ma anche il poi e il dopo.
Esserci, assieme agli altri.
QUESTO È UN FESTIVAL
Lo abbiamo detto e ripetuto come un mantra, e non ci fermeremo. Quando nel documentario “L’animale che mi porto dentro vuole te” (anno 2010) Davide Toffolo diceva che l’Italia è un paese giovane (pausa) “nel senso che non ha una tradizione vera di festival”, diceva una cosa corretta. Ora non è più così, effettivamente, perché esistono esempi molto importanti di eventi costruiti con i crismi dei festival internazionali: una location, più palchi che corrono in contemporanea, due o tre giorni continuativi e intensivi, l’esperienza al primo posto.
Eppure l’Italia è il paese delle rassegne, delle kermesse, dei molteplici eventi televisivi e di piazza con le line up fotocopia. C’è una generazione che - a causa di quella cosa chiamata pandemia che per due anni e mezzo ha azzerato la possibilità di capire cosa fossero momenti come il MI AMI - non sa che cosa significhi questa parola inglese senza traduzione in italiano che è festival.
Il momento in cui ce ne siamo definitivamente accorti è quando abbiamo ricevuto un messaggio che ci chiedeva se (testuale) “i cantanti saranno presenti dal vivo o messi tramite DJ”. Non sorridete, amaramente o ironicamente, piuttosto cercate di comprendere un certo contesto. Esiste una folta schiera di giovani che non ha avuto modo di scoprire. E noi gliel’abbiamo voluto provare a spiegare: 3 giorni, 6 palchi, oltre cento artisti. Italia, questo è un festival. Chi cerca trova, chi non cerca viene trovato.
ZETA
Il venerdì, età media 27 anni. Il sabato, età media 29. Abbonati, età media 29. Per fare un paragone, Primavera Sound ha attendees di età media 29. Nel guado delle generazioni bisogna saper guardare oltre il proprio ombelico, consapevoli che per quanto si ingrossi o riduca la pancia, beh, l’ombelico sta sempre lì.
Se abbiamo mostrato ad una generazione quanto belli siano i festival, quanto potente possa essere l’esperienza, quanto formidabile sia esserci - lo dimostra ad esempio quello che ha scritto Lucia, 18 anni, qui - è pur vero che le prime due o tre generazioni di MI AMI ora hanno vite diverse. Alcune e alcuni fra questi, stoici e commoventi, si sono presentati al festival con i figli, birretta in una mano e passeggino nell’altra. Vederci crescere essendoci ancora, contro ogni pronostico, ci rende persone fortunate.
MI AMI è un ecosistema declinato al futuro, ma che per ora non ha perso la memoria.
Per questo sono rimasto dispiaciuto che il live dei Verdena sia stato non pienamente a fuoco. Quella sera sognavo un incontro fra la più importante band rock italiana e una generazione che - dopo Naska, Officina della Camomilla, Drast, Giuse e Kvneki - avrebbe potuto empatizzare con loro, e loro così portarsi a casa un nuovo pubblico. La scaletta molto radicale non ha aiutato, l’audio nemmeno. Spero che questa cosa possa accadere altrove.
TUTTO DOVUTO
In un mondo in cui tutto ha un prezzo, non tutto ha il valore che si meriterebbe. Lo potete vedere in ogni grosso evento che è accaduto in questo periodo: dinamiche interne o fattori esterni possono mettere in crisi o distruggere anche il più accurato dei lavori di produzione. Da temi di logistica o viabilità, ingerenze di commissioni o questure, malfunzionamenti tecnici, meteo… ogni tanto può capitare di fare errori, ogni tanto può capitare quel che non ti aspetti. La differenza la fa la capacità di reazione.
Il sabato c’è stato un problema con l’app, e dunque con il braccialetto e la possibilità di ricaricarlo per consumare food e drink, che abbiamo cercato di risolvere aggiungendo casse extra e - al contempo - offrendo una bevuta a chi stava aspettando più del dovuto. In due ore il problema è stato risolto, qualche disagio c’è stato (e ci spiace).
Ecco, il tema del dovuto è scivoloso.
La logica ferrea del consumo impone una recriminazione per ogni servizio la cui erogazioni non viene percepita come soddisfacente dal consumatore. Questo non è un supermercato, e nemmeno il banco delle Poste. MI AMI non è un posto di solo consumo, ma uno spazio-tempo costruito da persone che vogliono dare il meglio, e se qualcosa non funziona fanno di tutto per risolverla. Per ogni errore vogliamo fare meglio, diciamo scusa e rimandiamo al mittente le accuse maliziose.
Lo stesso tema dei prezzi è organico e conseguente all’ecosistema economico globale. I palchi sono fatti di ferro e vengono trasportati con la benzina, se ferro è benzina hanno prezzi stellari noi non ne siamo immuni. Per non parlare del costo del lavoro, che è tema fondamentale che chi lavora sente giustamente molto, e così sente molto anche chi ha sulle spalle, oltre all’investimento, anche la parte contributiva. La giusta paga passa da un giusto prezzo.
Guardati attorno, è tutto collegato e siamo i primi a farci certe domande.
PARTNER
Nessun festival è un’isola, anche se l’idea di fondo è quella di mettere in pausa la società. Senza i partner non potremmo fare MI AMI, soprattutto in virtù del nostro essere avulsi rispetto ai finanziamenti pubblici (tema su cui lavorare, anche in chiave di restituzione dignitaria di ciò che facciamo).
È molto stimolante poter intrattenere conversazioni economiche e creative al contempo con chi trova in noi un progetto giusto su cui investire. Con Dr. Martens abbiamo costruito un rapporto profondo, grazie alla loro dinamica attenzione alle sottoculture, e speriamo di essere bravi abbastanza a convincerle di andare avanti insieme. Sephora, oltre a dare il proprio nome alla nostra iconica Collina, con una semplice attività di ingaggio con il pubblico ha fatto il make up al festival. Idealista, con il primo palco all’ingresso della location, è come se avesse fatto gli onori di casa. Engine ha acceso un nostro sogno recondito, una arena dance in mezzo agli alberi. Le luci di Twinkly hanno reso tutto più magico. E ancora grazie a Samsung per aver raccontato il festival con noi.
Questo festival lo facciamo assieme, perché (così) è più bello.
AUDIO
I festival in area urbana hanno limitazioni di diverso tipo, d’orario e di volume per esempio, dovendo confrontarsi con le inevitabili e giuste necessità dei residenti. Per evitare che queste diventino recriminazioni, c’è bisogno di operare nel rispetto di tutte le parti. Comprese quelle che vogliono dormire.
Il giorno prima dell’apertura delle porte, la commissione che autorizza l’evento ci ha prescritto attenzioni stringenti sulla parte audio, laddove il disturbo della quiete pubblica implica una risposta penale. Tutto questo per un semplice ma non trascurabile motivo: il weekend precedente a MI AMI, nel comune di Segrate, un altro evento di larga portata e blasone internazionale si è fatto sentire fino a Milano centro, finendo sui giornali e addirittura in consiglio regionale.
Per chi - come noi - ha sempre operato nel rispetto delle leggi e nell’attenzione necessaria a preservare un ecosistema che non vive soli tre giorni all’anno ma in stagioni intere, è una amara beffa. Non è giusto che l’errore di uno ricada - in termini di prescrizioni stringenti e punizioni esemplari - su chi ha la sola “colpa” di arrivare subito dopo l’altrui fattaccio. È giusto dunque che sappiate che il tema audio dell’intero festival è dovuto passare anche attraverso questa situazione.
EGO
Il festival è un acceleratore di emozioni, energie, sentimenti. Richiede parecchio sforzo, perlomeno se lo fai come facciamo noi (artigianato 2.5, non ancora 3.0 ma ci lavoreremo), ripaga in termini umani e lascia effetti collaterali sulla lunga altamente desiderabili (tipo la voglia di rifarlo), eppure inevitabilmente affatica, usura. L’ego è l’io che in questi casi, se non si accascia, si esalta. Perché lo sforzo collettivo è sempre uno slancio superiore alla somma delle parti. Ma l’ego può anche fare male, può strabordare. Non ne è immune nessuno, nè io nè tu, e se pensi di esserlo è forse un segnale da considerare. Esiste un insegnamento fondamentale, prezioso, imprescindibile che sta alla base di ogni rapporto maturo, duraturo e solido: dentro uno sforzo collettivo, ognuno deve prendere un pezzetto e deve lasciarne un altro, capire e scegliere il proprio ruolo e portarlo a compimento nell’armonia - che non esclude peraltro il conflitto - del disegno complessivo. Lo fanno gli artisti, che per esserci decidono di alleggerire le produzioni. Lo fanno le volontarie e i volontari che, pur di esserci, scambiano parte del loro tempo libero in lavoro. Lo facciamo noi, che ce la viviamo a mille, e che dobbiamo capire quando è il momento di fare un respiro.
META
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TEAM
Quando pubblicammo “Il Film del Concerto” di Andrea Laszlo De Simone, decidemmo di mettere nei crediti i nomi di tutti coloro che acquistarono il biglietto digitale e che dunque permisero a quell’opera di esistere. Fosse per me, farei di nuovo così. Ma effettivamente una lista di 23K nomi rischia d’essere un po’ ingestibile. Il punto però è chiave, lo scrive anche Vittoria su Rockit: il festival siete voi. Le persone che decidono di esserci pagando la quota richiesta sono il motore, assieme alla musica, di quel che facciamo. Il nostro grazie non è mai abbastanza.
C’è poi invece chi mette a terra tutto questo. Siamo anche qui tantini ormai, il che è abbastanza pazzesco. Ci sono persone che hanno preferito dormire un’ora in meno per fare lo sforzo in più che ha reso possibile il risultato, persone che hanno portato a casa i compiti, e portato il loro entusiasmo al festival. Per la pozione magica che rende possibile tutto questo chiedete pure a Fiz, il mio socio a cui questa volta vorrei dedicare il primo cinque alto di questa carrellata, per la quantità e mole di questioni che abbiamo dovuto affrontare, per come ogni anno ci immoliamo in una sfida che diventa sempre più grande. E soprattutto perché a me, di Montag, piace “Open Access”, a lui “Palta”.
Del team Better Days, la prima da celebrare è Carlotta, cuoricioni e pinghe, una colonna. Il buon Giulio. Seguono a ruota Nicolò miamer Pose, logistica e accoglienza con Luca, Nahid, Chiara, Federica, Davide, Federico, Meraviglia, Clara, Gaia, Sabrina. Fede al merch, con Margherita e Chiara. Salvate il soldato Michele dagli accrediti, Luca e Andrea ai parcheggi, Chiara, Martino, Giulia e Alessandro in cassa.
Il ringraziamento va a Mr. Wolf, a Billa Fulvio e Gigi in primis, per essersi buttati in questa avventura e per averci aiutato a provare ad alzare l’asticella, assieme alla famiglia di Circolo Magnolia, Nicholas Ilaria e Rubi e Eddi e Cordini e Fossa in testa, che è naturalmente il nostro primo partner.
Al Comune di Segrate, alla polizia locale, all’Idroscalo, alla prefettura, alle istutuzioni pertinenti per l’aiuto fondamentale.
A Vulcano, Città invisibile, NG, Alessio Losito, Liquida, tutti i fornitori. A Bobbi per l’overview illumino-tecnica. Agli stage manager Piazza, Calde, Pitone e Pazzo. Ai tecnici che si sono fatti il culo. Ai baristi che hanno versato decine di migliaia di bicchieri. Ai food truck. Ai cassieri, alla sicurezza, alle pulizie.
Alla nostra biglietteria Dice.
A Simon, Flavio e tutto il team di Meccanismi.
A Leopoldo Bianchi, nostro sponsorship man.
Alla redazione di Rockit, Dario e Vitto. La grafica, l’ineffabile Simone Gigante, e pure Giulia con la piccola Bianca, Bea alla mappa e al Mag. Il team comunicazione, da Delia Parodo e Stefano Di Mario per la stampa, fino ad Alessandra La Terza (viva Facebook) e la boss di TikTok Alessia Morelli. Le fotografe e i fotografi: Kimmika, Silvia Violante Rouge, Starfooker, Braga, Quadronno, Mirko Pirisi. All’impressionante team di Luca Gardella lato video, ai Mindbox. A Martino e Franci. Gabri Vollaro capo svolantinaggio.
A tutti gli agenti e a tutte le figure di produzione con cui mi sono interfacciato in questi lunghi mesi di costruzione del festival, a cui devo tanto.
Grazie davvero. A tutte e tutti.
Quest’anno per noi è stato come cercare una nuova direzione insieme alla nostra community. Percepirsi come parte di un ecosistema aiuta a affilare la prospettiva con cui programmare, fare e analizzare. Così tante domande sul tavolo, molte risposte, alcune inaspettate, altre un po’ amare, altrettante illuminanti. La verità è che c’è voglia, che stiamo già lavorando al prossimo. Siamo carichi, ma prima è giusto che ci si prenda un po’ d’estate addosso, sperando di non scottarci la pelle.
Appuntamento a 24-25-26 maggio 2024: questo è un festival!