Una delle sensazioni che ho più sentito addosso nella lunga stagione-senza-più-stagioni che è stato questo 2024 - primaverno? invernera? - è stata l’incertezza. Paurosa, vertiginosa, eccitante. A suo modo sana. Però pur sempre un burrone da cui, se non sai volare, ti schianti.
Più volte mi è venuto da pensare che siamo un po’ come agricoltori, forse perché alla fine vent’anni anni in città non hanno minimamente intaccato il DNA campagnolo.
(Nota a margine: mai zappato un campo, dunque per rispetto della mia famiglia e di tutti coloro che invece lo fanno davvero per lavoro segnalo che sto procedendo per metafore)
Ricordo a marzo di aver letto un commento su X: “Nella mia zona il grano duro si sta già spigando e anche le viti sono molto avanti. Gli agricoltori non ci capiscono più niente”. Su quel non ci capiscono più niente ho pensato: “pure io”. Soprattutto quando dopo quell’ondata di caldo prematuro ha iniziato a piovere per non smettere più. E allo stesso modo brani musicali uscivano copiosi facendosi pozza: la terra non ne aveva mezza di drenare e assorbirli.
Va tutto bene?
Qualche numero dal report 2023 di FIMI sulla musica: ricavi complessivi per 440 milioni di euro, crescita del 18,8% su base annua, terzo mercato più grande nell’Unione Europea. L’ottanta per cento degli artisti in top 30 è italiano. Gran parte di tutto questo è streaming: a partire dal 2017 crescita del 382%, l’aumento dei ricavi è tale che nel 2023 il segmento streaming audio vale più dell’intero mercato discografico del 2013.
Wow. Dovremmo essere tutti ricchi e pieni di dischi (seppur streammati) bellissimi. E invece.
Nel comporre la line up cercavo di guardare ai cambiamenti della scena musicale concentrandomi sulla musica, sulle artiste e sugli artisti, provando a trovarne uno o più fili conduttori, salvo poi farmi confondere dai boati dei grandi successi e lottando per non farmi distrarre dalle sirene di un marketing sempre più aggressivo e noioso.
In ogni caso segnali e sintomi.
Mi trovavo in mezzo a vasi non più comunicanti: format industriali di crescita standard che diventano strade monotematiche per il successo, televisioni e streaming che uniscono le teste per diventare mostri mangiatutto, esperienze interessantissime nella loro fase embrionale ma ancora troppo parcellizzate per farsi corrente, movimento, wave.
Live off the land / No life on a dead land
Agricoltura? Ambiente? Biodiversità? Ci concentriamo sul prodotto ma dipendiamo e incidiamo sul contesto (non possono crescere i frutti senza sole e acqua); lavoriamo con la terra e dunque abbiamo un impatto su di lei - non dobbiamo avere paura di abitarla, non dobbiamo considerarla un museo, è viva! - quanto piuttosto dobbiamo rispettarla.
Guardiamo alla musica come si guarda al cielo. Senza le artiste e gli artisti a fare la musica, non faremmo questo festival. Senza i dischi importanti, hai voglia a cercare di creare un pubblico. Ma un frutto esiste per essere colto, mangiato.
Pioverà? Siccità? Gelerà fuori stagione? Al senso di spaesamento per alcuni cambiamenti climatici complessi da gestire, finisco a trovarmi poi in uno stato idilliaco di pieno stupore nel vedere – alla fine - in ogni caso crescere qualcosa di nuovo.
Quando sembra che non ci sia più niente, finestre verdi si aprono e creano meraviglia. C’è un mercato per la musica, ma c’è anche musica non per il mercato.
I festival sono ecosistemi
La (nostra) loro (r)esistenza è determinata non solo dalle abilità artistiche, dalle direzioni giuste prese, dalla comunicazione efficace, ma anche da un contesto economico e produttivo micro e macro.
C’è stato un momento, il martedi della settimana del festival, in cui ho pensato “a ‘sto giro non ce la facciamo”. Dopo gli anni, post Covid, di costi produttivi impazziti (raddoppiati e triplicati) ora anche questa infinita pioggia che - per chi come noi fa il festival sull’erba, in un parco - costringe a aggiungere extra costi, oltre a rallentare fonti di income necessarie come biglietteria e bar. Come faremo? Troppo tutto.
Mettetevi nei panni di un festival indipendente che - come da trend globale - carica sulle spalle dei promoter oneri sempre più invasivi, in una città come Milano in cui le doppie uso singolo degli hotel costano come Rolex.
Se lo fai, è perchè (scegli): o sei scemo o sei pazzo.
Mentre fuori l’ennesimo temporale rimbombava, però, guardandomi attorno e scrutando gli occhi dei soci e del team, mi sono insensatamente tranquillizzato.
Anche quest’anno ci giocheremo tutto, ho pensato, ma più forte che mai ho sentito che le persone in quella stanza avessero raccolto il messaggio.
Come formiche
Sarà che vederci come formiche innalzare reticoli di bellezza e cattedrali di ferro, assistere al nascere un palco, pensare e realizzare gli allestimenti, ripercorrere la strada che dal booking porta al load in, essere on site aspettando la band e poi infine la musica… tutto ciò continua a emozionarmi perdutamente.
C’è orgoglio nell’essere parte della creazione di quel cibo per l’anima che da diciotto edizioni in vent’anni è il motivo per cui siamo coinvolti al 100% in questa missione.
Quando l’ultimo cancello del Festival si è chiuso e tutto è ormai accaduto, ogni cosa è stata improvvisamente più chiara. Sembra quasi semplice, ora. Quando l’adrenalina è scesa la ragione bussa sotto forma di esattore delle tasse. Ma non l’avresti capito se non ti ci fossi prima buttato. Ne vale sempre la pena.
Non datelo per scontato
Certo, forse su un palco così li avrebbe messi qualcuno prima o poi. Prima, forse poi. Forse. Intanto però i palchi prima li abbiamo tirati su e poi le artiste e gli artisti ce li abbiamo messi noi. Dell’essere fra i pochissimi che si dannano l’anima ad accendere i fuochi: datecene atto.
Il compito è svolto. Pochi probabilmente ne misureranno l’impatto e il valore, molti lo daranno per scontato. D’altronde nessuno (ci) obbliga a rischiare l’osso del collo. Lo facciamo perché abbiamo scelto di farlo.
C’è un concetto basilare che oggi più che ieri va ricordato a chi non possiede il codice: nessun musicista è un’isola e ogni canzone è una comunità.
Questo i miamers - chi, sempre di più, acquista gli abbonamenti da un anno all’altro - l’hanno capito bene. È pazzesco vedere come questo organismo di diciotto anni venuto al mondo sotto forma di Festival oggi sappia parlare così fortemente alle persone. È una luce benedetta. Grazie.
Del conseguimento della maggiore età
L’apertura con il devastante e memorabile concerto dei CCCP - Fedeli alla linea al Carroponte ha dimostrato come sia possibile, pur evadendo dal nostro usuale perimetro, mantenere salda la nostra identità. La dedica ai diciotto anni del festival di Giovanni Lindo Ferretti, del tutto inaspettata, prima di attaccare “Mi ami?” è il segnale che gli immaginari non sono contenitori neutri ma possono contaminarsi nel rispetto reciproco.
La pioggia ha per un attimo smesso di scendere, dando spazio alle lacrime di una e più generazioni, forse di una comunità che ha ancora bisogno di credere ma anche di essere provocata. Non ammansita. Tenuta irta, viva. Non sono contraddizioni ma complessità che si risolvono dove la medaglia ha tre facce, non solo due.
Viva come lo sono i CCCP oggi, perfetti e ruvidi nell’esecuzione, Ferretti sopravvissuto ad un infarto pochi giorni prima. La fortuna di sentirselo raccontare nel backstage, noi a bocca aperta.
In maniera del tutto speculare, a chiudere il festival è stato lo straordinario concerto dei Phoenix. Ogni loro show è da manuale, eppure pensare che Calcutta e Giorgio Poi li abbiano raggiunti sul palco - cosa successa a Barcellona qualche giorno dopo con Ezra Koenig dei Vampire Weekend - mi fa pensare a quale matta tempolinea in cui siamo dentro, al tempo che funziona come cerchi imperfetti che si chiudono per riaprirsi.
Ancora una volta non una scelta neutra o un semplice accordo di booking, ma in questo caso il coronamento di un percorso durato anni (anche qui, Thomas Mars a sorpresa che sul palco afferma “dovevamo essere qui l’anno scorso”). Ho usato con loro parole che mi vien persino difficile pronunciare, tipo “sogno”. C’era un’energia surreale nell’aria e non mi punirete se uso la prima plurale: stavamo volando.
Cose musicalmente più chiare ora, per punti
Correndo il rischio di peccare di immodestia, questo MI AMI è riuscito ancora una volta a raccontare quel che è la musica oggi - ma anche quel che ancora non è - e quel che potrebbe essere. Anzi, come volevi essere. L’ho realizzato meglio dopo.
Siamo in una fase in cui non c’è ancora un codice, non ci sono aggettivi definenti. C’è un magma che ribolle.
Spunti sparsi e assolutamente incompleti:
- che bello avere musicisti che si esibiscono ogni giorno di festival, creando continuità e diversità: dai tre concerti dei Tre Allegri Ragazzi Morti per i trent’anni (tutti bellissimi e speciali), fino al pluri-esibito e amatissimo Marco Castello, è come se l’evento si trasformasse in una residenza artistica;
- è tornato l’avanspettacolo: dall’enorme successo del musical di Auroro Borealo, un autentico mindfuck, fino alle drammaturgie dei Tamango (unica data dell’anno, ma un futuro sorprendente davanti a loro), passando per gli sputafuoco e le morti di Davide Toffolo, o ancora la performance di debutto dei misteriosi Lucifero;
- minoritaria, apparentemente irrilevante ma solida: è tornata la saletta, sono tornati i ragazzi a usarla per farci musica insieme;
- Bello Figo con la band è stata la cosa più chiacchierata e aspettata del festival, perché siamo qui per confondervi le idee ma soprattutto per farvi cantare “Francesco Toti” e per contribuire ancora una volta ad un processo di emancipazione di questo paese;
- il ritorno al rap live di Neffa: non performava live “Aspettando il sole” dal 1999, ha fatto debuttare un singolo inedito con Ele A, ha voglia di rimettersi in gioco e di riprendersi ciò che è stato suo;
- condizioni meteo critiche (cit. Giallorenzo): OkGiorgio, interrotto a metà il suo show perchè ne tirava giù troppa (dobbiamo rifarlo!); Pufuleti magico in Collina, Rhove a petto nudo a pogare nel fango, Daniela Pes accompagnata dai fulmini; il pubblico è pronto a dimostrare di non essere lì solo per caso, e questo dà una forza pazzesca;
- per l’amore di esserci, perché hanno da sempre capito: Vasco Brondi e Dente che eseguono “Annarella”;
- i concerti di Ex Otago e Selton, due delle band più longitudinalmente vicine e partecipative del Festival, dimostrano che la determinazione di perseguire un sogno che ha a che fare con il coltivare il proprio talento al netto dei fattori esterni;
- un’energia diversa: Emma e Faccianuvola, il futuro del cantautorato accelerato; l’esordio fulminante di Gato Tomato, ma anche Yaraki;
- Pietro Mio ha in canna due anthem zeitgeist del periodo: “3bmeteo” e “M di Milano”;
- abbiamo una fuoriclasse: Lamante;
- abbiamo l’ultima rock band: Ministri, che cazzo di live in Collina (e grazie per come si sono esposti nei nostri confronti);
- c’è bisogno di piccoli club e della fotta di gente come Jagwari, Visconti, Cigarilla Disonasty, Crema: suonare è l’unica cosa che conta;
- rifatevi il guardaroba con Le Feste Antonacci e Tatum Rush;
- la canzone ha bisogno di gente come Tropico e Colapesce Dimartino;
- Mazzariello è bravo, Anna Castiglia può crescere molto;
- tre show che mi sono piaciuti: Laila Al Habash, Ditonellapiaga e HAN;
- Diss Gacha con il coro gospel è la gioia, Ele A per quanto mi riguarda rifacciamolo ogni anno;
- una classe diversa: se r&b e soul in Italia possono finalmente avere senso sarà per gente come Lauryyn e Coca Puma;
- se il folk vive è nelle tessiture delicate di Marta Del Grandi o negli svarioni glam di Lucio Corsi;
- Erlend Øye & La Comitiva sanno portare il sole;
- la gente ha una matta voglia di ballare, di mettere al centro il corpo, e la Spider Arena è stata il blast: grande lavoro in co-curatela da parte dell’esimio Ceri (Sista Bene winner) e di Thru Collected;
- c’è voglia e c’è spazio per progetti come Il mago del gelato e Parbleu, il lavoro iniziato dai Nu Genea e ancora prima dai Calibro 35 non è stato invano;
- io credo in Tony Scorpioni.
Un film mozzafiato
Così poi ad un certo momento, prima pallido il sabato e poi più definito la domenica, è arrivato il sole, ispirato dal ritorno a sorpresa al rap live di Neffa. Nel mezzo tutto è successo, come in un film mozzafiato.
Venerdi è iniziato con la messa in bolla delle zone più difficili, con tre camion di corteccia che hanno trasformato il festival in una farm - volevamo Glastonbury! - ma poi la notte ha di nuovo scaricato cm e cm d’acqua mentre nessuno di noi sognava di mollare l’avamposto.
Il sabato rocambolesco ha visto un sold out tondo, ma soprattutto un inizio da giorno della marmotta con un fantastico team di volontà a spalare fango. La domenica, come promesso da Erlend Oye, il calore della stella a diciotto punte ha iniziato la cura. E alla fine ci siamo abbracciati.
Per questo voglio ringraziare molte persone.
Le artiste e gli artisti, le loro agenzie, le loro crew.
Gli sponsor, che poi sono persone che decidono di portare il proprio brand dentro il nostro viaggio: grazie a Dr. Martens, Champion, Jack Daniel’s e idealista.
Grazie al Battaglione, che super team! Alla squadra comunicazione, a videomaker e fotografe, al supporto di Rockit, all’ufficio stampa. Alle volontarie e ai volontari, splendidi. Alla merch crew, agli ingressi, allo logistica. Quest’anno più che mai ho sentito che eravamo uniti, compatti, belli.
Grazie alla famiglia allargata di Circolo Magnolia, padroni di casa, direttivo e tecnica.
Grazie a Mr. Wolf, al super team di Billa e Gigi (e Fulvio e Giorgio e Monto...), per il grande lavoro fatto.
Grazie a stage manager e crew tecniche, Pito, Plaza, Folk, Danilo e tutti.
Al Comune di Segrate, alla polizia locale, ai vigili del fuoco, all’Idroscalo, alla prefettura, alle istituzioni.
Ai fornitori, in primis Città Invisibile, Alessio Losito e il prode Antimo.
A Bobbi per aver pensato e concretamente reso questi palchi così belli.
Grazie a Open per le lucine. Grazie a Glo per le svapate. Grazie ai food truck per il cibo e a Temakinho.
Grazie a Spotify per aver spinto le playlist e messo in cover le nostre foto.
Grazie ai nostri media partner di Radio Zeta, freschi!
A Dice e Meccanismi.
Grazie alle trentamila anime che si sono unite in questo rituale, dandoci un motivo in più per darvi tutto il nostro meglio.
Ecco, infine ma innanzi a tutto, grazie a noi, al core team che ci mette la vita e il c(u)ore: Carlotta, Leo e Pose. E uber alles al mio socio Fiz con il quale spingendoci e strattonandoci, ma sempre con tenore morale, abbiamo tirato su - contro ogni ragione comune - questo organismo che ha diciotto edizioni, sta prendendo la patente e ha votato per la prima volta.
È diventato adulto.
Chissà dove andrà, chissà se ci saremo.
Avrà più di un motivo per essere orgoglioso, sarà una buona vita in ogni caso. Si guarderà attorno, sorriderà al pensiero di una nuova vertigine. Deciderà cosa fare o le cose da fare decideranno al posto suo?
Azzardo un'ipotesi.
Prenderà una moneta, la farà girare, guarderà il suo destino. Raccolta da terra dopo averla fatta vol(t)are, la trasformerà in una medaglia. E quella medaglia avrà tre facce.