A quattro anni dall’uscita di "Lonesome Traveller", The Dining Rooms tornano con un nuovo album che si riallaccia idealmente con il sound degli esordi del duo milanese, in particolare con le atmosfere cinematiche di "Numero Deux" (Schema, 2001)
"Do Hipsters Love Sun (Ra)?" - Un titolo che condensa la natura quasi concettuale di quest’ album, da un lato un omaggio a Sun Ra, uno dei personaggi più profondi e rivoluzionari nella storia della musica, capace di dare nuovo significato alla parola cosmic: un messaggero venuto dallo spazio per portare nuova spiritualità e visione. Dall’altro, la parola hipster – ai nostri giorni sinonimo di nulla e superficialità, ma che ha origini socio-politiche ed estetiche profonde: Jack Kerouac per esempio li descrisse come ‘anime erranti portatrici di una speciale spiritualità’. Gli hipsters erano originariamente innovatori, esploratori culturali spinti dal desiderio di novità e sperimentazione.
E tutto ciò trova posto in "Do Hipsters Love Sun (Ra)?" : una colonna sonora che condensa elementi cosmici, il desiderio di esplorare e scoprire, e la capacità di immaginare e sognare. Esistenzialismo, sperimentazione, spiritualità: ecco allora la dedica a Sun Ra, influenza più concettuale che musicale di questo disco.
Abstract jazz, cosmic funk, instrumental hip-hop: "Do Hipsters Love Sun (Ra)?" contiene tutti i tratti e le influenze tipiche del sound dei The Dining Rooms, ma anche un forte elemento cinematico che affonda le sue radici nel mondo delle sonorizzazioni e delle colonne sonore del cinema Italiano. La reinterpretazione di quelle atmosfere è l’altro tema del disco, una vena sotterranea capace di infondere nelle tracce dell’album l’incanto di quelle colonne sonore leggendarie.
In quest’ottica si inseriscono le collaborazioni: Jessica Lauren , space woman per eccellenza, e la nouvelle vague del suono italiano collegato a quell’attitudine cinematica, i Sacri Cuori di Antonio Gramentieri e Francesco Giampaoli, e Bruno Dorella, chitarrista dei Ronin (e non solo).
Ecco quindi un album (quasi) concettuale: sulla solarità, sull’ironia, sul significato dell’esistenza riferita al movimento e soprattutto al nostro fluttuare nello spazio. Una colonna sonora senza immagini, tra pianeti reali ed immaginari, che incontra Sergio Leone su un asteroide e dandoci appuntamento su Marte sfiora hipsters e beatniks sulla luna del diavolo - perché, come disse appunto Herman Poole Blount, “Space is the place”.
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