Descrizione

Come nel romanzo distopico “La possibilità di un’isola” di Michel Houellebecq, in cui la razza umana è ormai in fase d’estinzione e all’apparenza i sentimenti, le malinconie, le memorie sembrano ormai non contare più nulla e a maggior ragione l’amore, anche nell’ “Isola di Tam” si percepisce la malinconia di qualcosa che ormai si è smarrito e che ha bisogno di essere raccontato per farlo tornare reale e vero. Ma in questo caso, non è una poesia lasciata in eredità dopo la propria dipartita, a raccontare la speranza, come nel romanzo di Houellebecq, ma un disco che propone una visione mai banale e rassicurante, come rassicuranti sono tutte le banalità, in effetti. Tam racconta quello che viviamo con uno sguardo laterale, imprevedibile, che disturba perché tutto ciò che non vorremmo ammettere di noi stessi, di per sé disturba. E ci fa desiderare di allontanarci da tutto e tutti, rifugiandoci in un’isola, come se il fatto stesso di essere circondati dal mare, ci potesse difendere. E invece, no. Tam racconta le sue debolezze, le sue vergogne, le sue indignazioni senza filtri, dosando leggerezza e intensità, mettendosi a nudo e ricercando per ognuno di questi stati d’animo le musiche e le atmosfere più adatte, anche se meno scontate. Perché si può raccontare l’abbandono di oggi, come in “Strana storia vera” richiamando atmosfere musicali recuperate dalla canzone italiana d’autore di ieri, oppure ritenere che trovarsi un’isola significhi ricavarsi del tempo per se stessi, come nel brano che dà il titolo al disco, salvo accorgersi che però, alla fine, riflettere su se stessi significa inevitabilmente riflettere sul mondo, e quindi anche sugli altri. Gli strumenti, gli arrangiamenti, i tappeti musicali, un basso potente che contrappunta le melodie, i cori che moltiplicano le sonorità e una voce che cade precisa sulle tessiture musicali, senza autocelebrarsi o ricorrere a virtuosismi futili, ma raccontando con la puntualità di una cronaca spietata le atmosfere e le contraddizioni da cui cerchiamo di scappare, rendono questo disco unico e indie, prima che nell’isola musicale di oggi arrivasse il “movimento “Indie pop”; pop, prima che la musica pop fosse costruita nelle case discografiche da ingegneri senza visone, ad esclusivo uso e consumo del mercato; rock, prima che si dovesse sottolineare che esiste il “rock italiano”, come se il rock dovesse avere una declinazione patriottica per riconoscerlo; funky, prima che i campioni e i campionatori ne dovessero scippare i groove per loopparli all’infinito, senza più un racconto da restituire. Questo è un disco che suona, eccome, che rimane diffidente alle mode, avendone recuperato la genesi, che sa raccontare attraverso testi talmente nudi e sinceri da sembrare surreali e “frivoli”, come ci suggerisce Tam in “Velluto”, ma che fanno scendere “dalle guance rivoli” di lacrime. È un disco questo, dove niente è ciò che sembra, dove la malinconia cede improvvisamente il passo a un sorriso e i tramonti preannunciano nuove albe, una nuova energia, da liberare contro i luoghi comuni. Come in “Tramonti”, in cui la ricchezza dei riff funky incontra improvvisamente strofe più rarefatte, quasi in un gioco di specchi, in cui i riflessi contrari raccontano la tridimensionalità della figura. Esattamente come in “Happy Birthday” dove non c’è nulla da festeggiare, perché i “momenti di défaillance” sono dietro l’angolo, annidati nei “Ricordi sepolti”, brano che chiude l’album.
In questo disco di Tam, ormai al suo quinto disco, c’è molta cultura musicale, a rimarcare che non bastano quattro rime da infilare in un “auto tune” per fare musica, c’è molta cura negli arrangiamenti, gusto e imprevedibilità, ci sono racconti cuciti con pezzi di stoffe diverse, in cui i registri narrativi si alternano tra il serio e il faceto, ma che mirano dritti e senza compromessi. Non potrebbe essere diversamente, viste anche le collaborazioni di Tam, da Alberto Radius a Lele Gaudi, da Jimmy Villotti ad Enrico Gabrielli.
In definitiva, il lavoro di recupero delle grandi tradizioni musicali del passato, dalle radici british alla canzone d’autore italiana, fino alle sonorità funky ed elettroniche più raffinate, rendono l’”isola di Tam” un disco che appare familiare, perché già sentito, ma che regala la sensazione di non avere mai sentito qualcosa del genere, perché fuori da ogni ”genere”, così come accade nelle isole, in cui il tempo non pare essersi fermato, ma solo scandito in modo diverso rispetto a ciò che accade nel resto del mondo. Perché ogni isola, ci può regalare una nuova possibilità. Anche di scoprire un album come questo.

Credits

PRODOTTO, ARRANGIATO, COMPOSTO E SUONATO DA TAM
David Sabiu - batteria in "Strana storia vera" e "Ricordi sepolti "

REGISTRATO E MIXATO DA T.TAM E D.SABIU AL SAVANA STUDIO (FORLI')
MASTERIZZATO DA FAUSTO DE BELLIS AL FALLOUT STUDIO (BOLOGNA)

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