Uaragniaun
Luigi Bolognese: chitarra, mandoloncello, bouzouki
Maria Moramarco: canto
Silvio Teot: tammorra, darbouka, percussioni
e con:
Daniele Sepe, sassofono – Ambrogio Sparagna, organetto – Piero Ricci, zampogna, ottavino, fisarmonica – Lino Miniscalco, ciaramella – Nico Berardi, charango, flauto, zampogna, quena – Giovanni Loiudice, violoncello – Enzo Miniscalco, chitarra basso – Rocco De Rosa, tastiere – Alfredo Cornacchia, tastiere – Pino Colonna, flauto – Filippo Giordano, violino – Francesco Attolini, violino – Christopher Sblendorio, organetto – Ernest Carracillo, organetto – Sandro Pippa, duf – Davide Torrente, tammorra – Coro Polifonico S. Mercadante.
La recensione di Ambrogio Sparagna
Grazie ai racconti di Diego Carpitella e di Alan Lomax, ascoltati in una serie di memorabili lezioni svolte verso la metà degli anni Sessanta tra le aule dell’Accademia Chigiana di Siena e della Facoltà di Lettere di Roma, alcuni di noi, giovani studenti di etnomusicologia, ebbero modo di apprendere dell’esistenza nelle campagne italiane di straordinarie figue di cantori popolari in possesso di un grande repertorio di canti. Questi personaggi erano i depositari di tutto il repertorio locale e strumentale della comunità a cui appartenevano in quanto nella loro memoria erano conservati tutti i tipi di canti che in quella comunità venivano eseguiti abitualmente: dai canti religiosi a quelli lirici, dai vari canti di lavoro a quelli satirici o narrativi. Il loro ruolo, così come ci raccontavano in modo fascinoso Carpitella e Lomax, era quello di salvaguardare la tradizione locale affinché essa potesse conservarsi e ulteriormente svilupparsi. Si trattava perciò di figure sociali estremamente importanti a cui tutta la comunità faceva riferimento. Spesso questo ruolo era sostenuto da figure femminili che avevano anche il delicato compito di scegliere fra i membri della comunità le persone in grado di apprendere e successivamente tramandare tutto questo corposo e consistente sapere, costruito esclusivamente attraverso la trasmissione orale. Le storie di Lomax e Carpitella erano avvincenti e ricche di aneddoti curiosi e si intrecciavano a quelle, descritte nei diari di Bela Bartok, relative alle sue ricerche etnomusicologiche nei paesi dell’Europa dell’est. Questi personaggi incontrati negli anni Cinquanta da Carpitella e Lomax erano infatti molto simili a quelli che Bartok chiamava alberi di canti e che erano stati gli ispiratori di tutto il suo eccezionale lavoro di ricercatore e compositore. Nei molti anni che poi sono seguiti ho sempre cercato di trovare figure simili a quelle raccontate nelle magiche lezioni di etnomusicologia e per mia grande fortuna questo mi è successo più volte: a Giulianello, paese contadino alle porte di Roma, dove viveva Cleofe Marchetti che conosceva tutti gli stornelli “alla mietitora” che un tempo si cantavano nel territorio dell’agro romano; a Itri, storico paese di briganti del Lazio meridionale, dove Italia Capotosto conservava gelosamente tutte le versioni dei canti dedicati alla Madonna della Civita, la madre dal viso scuro venuta da Costantinopoli ad abitare sui monti Aurunci; a Frascineto, paese calabrese di cultura albanese, dove Carmina Camodeca tramandava a tutta la sua numerosa famiglia le meravigliose avventure del grande eroe Costantino, e così tante altre.
In questo mio girare ho avuto la fortuna di conoscere ad Altamura, qualche tempo fa, Maria Moramarco da cui ho potuto ascoltare uno straordinario repertorio da lei appreso direttamente in anni di ricerca nell’area delle Murge. Dai tanti incontri avuti con numerose cantatrici locali Maria ha imparato non solo le varie versioni dei canti ma soprattutto il modo tradizionale di cantare, così attento e scrupoloso nell’articolazione della parola, tanto da diventare lei stessa giovane interprete, depositaria di uno specifico stile vocale, tipico delle terre della Murgia. Ascoltando le fiorite dei canti lirici, di lavoro, narrativi, religiosi, ninna nanne, e riproponendoli in molte occasioni con la collaborazione di Luigi Bolognese e Silvio Teot, fedeli e sapienti compagni di questo speciale viaggio, Maria è diventata per le comunità locali un nuovo modello di albero di canto. Una figura speciale a cui spetta il ruolo di tramandare e rinnovare la tradizione. Un compito arduo a cui è difficile sottrarsi se si è avuta la fortuna di apprendere i saperi della civiltà musicale contadina mediante l’assidua frequentazione di tante cantatrici popolari. Questo contatto, così diretto e familiare, ha aiutato e aiuterà il lavoro di ricostruzione dei fili della memoria che Maria Moramarco, Luigi Bolognese e Silvio Teot svolgono, in particolare attraverso l’esperienza del gruppo Uaragniaun, qui raccolta in questo nuovo lavoro discografico, così bello e denso di suggestioni. Dove la voce di Maria e degli strumenti che l’accompagnano ci incantano parlando di cose semplici. Oggi forse inconsuete. Un disco dove Maria rcconta, come una volta facevano gli antichi alberi di canto, grandi storie di donne. Da ascoltare con il cuore, seguendo la scia della magia della parola cantata, così come un suono familiare guida sicuro il nostro viaggiare quotidiano.
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