Pop d’autore pieno di corposo spleen, di jazzy, d’atmosfere anni ’50. Pieno di tempi andati, di noir e gauloises
Esistono dischi che ti fanno venire voglia d’innamorarti. Di sdraiarti su un divano chiuso dentro una morsa di cuscini, mentre qualcuno ti fa il solletico. Per poi dirle di fare piano, di smetterla, anche se non lo vuoi. Dicendole che ti fa morire, che hai male agli addominali. Ed è vero: hai male agli addominali. Ti fa morire.
Esistono dischi che invece suonano per gli innamorati. Quei dischi con la canzone che metti nel nastrone con i pezzi selezionati, che fosse la cassetta o che sia il cd. Il mio nastrone fatto per te. Il Nostro Nastrone. Con su i pezzi dei dischi che suonano per gli innamorati. Quei pezzi che suonano per noi. Per me e per te. Una Cosa Sola.
Quei dischi esistono ancora. E se esistono, vuol dire che per qualcuno (addirittura) esiste ancora l’amore. L’amore dei film e delle poesie. L’amore dei momenti. Quello che la primavera fa con i ciliegi. Quello che il sole fa con gli occhi azzurri. Se anche solo fosse uno, per questo qualcuno i Non Voglio Che Clara suonano. Per lui. Per lei. Per la Cosa Sola.
Suonano. Come i Costeau, quando aprono i pezzi in slow motion. Come i Belle & Sebastian, quando decorano con gli archi. Come gli Smiths, nell’orchestrare i pezzi. Come Tenco, nel partorire doloroso amore crepuscolare. Come Paoli, nel renderlo puro e semplice, popolare. I Non Voglio Che Clara suonano pop d’autore, elegante e magnifico, mai volgare, mai urlato. Pop d’autore pieno di corposo spleen, di jazzy, d’atmosfere anni ’50. Pieno di tempi andati, di noir e gauloises. Pieno d’Italia. Pieno d’Europa.
Pieno. Gonfio fino al midollo di tensione. Di lacrime. Di sentimento. Pieno di voglia d’amore, pieno di lenti, di ballate e pianoforte. Pieno, pieno fino a costringerti a morire di lacrime, pensando a quanto sia difficile vivere ed essere felici. A quanto sia bella la poesia. A quanto sia crudele chi non fa sconti neanche al talento. A quanto l’amore se ne stia nascosto in posti remoti, semi-bui, illuminati solo da luci fioche, pronto per uscire solamente alla sera, per le serate di gala. Vestito troppo bene per non essere notato. Troppo bello per non essere visto. Per poi tornare a dormire nuovamente nella sua stanza semi-buia, illuminata solo da luci fioche. Per poi tornare a dormire, in un sonno eterno d’incubi e sogni. Per poi tornare a dormire, nella stanza a fianco a Neruda. All’Hotel Tivoli, ovviamente.
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La recensione Hotel Tivoli di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-09-29 00:00:00
COMMENTI (2)
Che meraviglia d'album...
Concordo è un gran disco davvero, ma perchè non lo passano in radio?
mi pareva però ci fossero più tracce!