Il secondo album della cantante milanese scorre via con una serie incredibile di sfumature e si fregia di una moltitudine disparata di suoni, compressi e rielaborati secondo l'indole artistica di Cristina, a volte anche 'influenzata' dai vari ospiti di turno
E' una responsabilità che non capita certo tutti i giorni (provare a) recensire un disco di Cristina Donà, anche se si tratta solo del suo secondo album. L'esordio di due anni fa intitolato Tregua è stato un fulmine a ciel sereno, un lp che si lascia riascoltare negli anni mantenendo sempre quella freschezza originale che solo dischi del calibro di Grace (Jeff Buckley), Big city secrets (Joseph Arthur) o To bring you my love (P.J. Harvey) riescono ad 'emanare' allo stesso modo.
Nido fa inequivocabilmente parte di questa schiera, bissando la prova precedente per qualità e intensità di liriche e musica. D'altronde, come ha già affermato qualcuno, non c'era bisogno di Robert Wyatt per intuire che è Cristina la 'cantantessa' per eccellenza nello Stivale, senza, tra l'altro, temere confronti a livello internazionale. Certo se l'ex Soft Machine dice di apprezzare la 'nostra' Donà (sì, siamo gelosi!) e poi decide di impreziosire Goccia con la cornetta e la sua voce non ci dispiace affatto, anzi ne andiamo orgogliosi.
Ma sia ben chiaro che gli altri 12 pezzi non hanno nulla da invidiare al cameo sopra citato: sin dalla title-track, con quel suo incedere lo-fi, fino a Mangialuomo, con un arrangiamento curiosissimo (la fanno da padrone il contrabbasso di Marco Ferrara e la tromba di Paolo Milanesi), il disco scorre via con una serie incredibile di sfumature. Inutile dire che il singolo L'ultima giornata di sole ha un gusto sopraffino per la melodia, ma non manca di destare sorpresa il passaggio 'latino' di Brazil, uno strumentale in compagnia di Marco Parente, l'Artista del 1999.
Da non dimenticare, comunque, l'apporto fondamentale del solito Manuel Agnelli, stavolta più circoscritto del solito nel suo lavoro di produttore. E ciò si nota nell'insieme eterogeneo dei suoni raccolti in questi tre quarti d'ora: Volo in deltaplano è tanto disturbata quanto meravigliosamente disturbante, soprattutto nel testo, mentre Deliziosa abbondanza è un ritorno alla melodia. C'è insomma lo stesso ingrediente del primo lavoro: una moltitudine disparata di suoni, compressi e rielaborati secondo l'indole artistica di Cristina, a volte anche 'influenzata' dai vari ospiti di turno (si veda anche il caso di Volevo essere altrove, altro break lo-fi in compagnia di Morgan).
Non abbiate timore ad amare Nido incondizionatamente: sarebbe un peccato che forse potreste espiare solo in Purgatorio.
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La recensione Nido di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2000-01-13 00:00:00
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