Strana storia quella dei Pitch: nati intorno alla metà degli anni 90, hanno percorso gli ultimi tre lustri tra alti e bassi senza però riuscire nell'intento di imporsi al grande pubblico. Perché sarebbe da ipocriti negare il fatto che all'epoca di "Velluto" (uscito nel 1999 su major) il traino del progetto fosse rappresentato quasi esclusivamente dalla vocalist Alessandra Gismondi, probabilmente sulla scia di un esempio che all'epoca rispondeva al nome di Courtney Love. Purtroppo - come era immaginabile, essendo quelle le premesse - non funzionò secondo le aspettative e alla band romagnola non rimase altra scelta che rifugiarsi in Purgatorio. Dopo di allora, tra scioglimenti e avvicendamenti vari, il gruppo ritorna dal vivo alla fine del 2004, ma solo tre anni dopo pubblica "A violent dinner", opera tanto inaspettata quanto affascinante e che avrebbe meritato molte più attenzoni, tanto in Italia (a partire dal sottoscritto) che all'estero. Quelle 13 canzoni rappresentavano infatti il chiaro segnale di una rinascita, con i Pitch folgorati letteralmente sulla via di New York, quasi avessero trascorso tutti questi anni in compagnia dei fratelli Pace e di Kazu Makino, il trio la cui ragione sociale risponde al nome di Blonde Redhead.
"Comme un flux" si nutre infatti, proprio come il predecessore, di quelle atmosfere che sono ormai il marchio di fabbrica del terzetto di stanza nella Grande Mela; peccato, però, che all'orizzonte non si intravedano evoluzioni, trattandosi di 10 episodi che spesso proseguono, per filo e per segno, suoni e sensazioni già esperiti nell'album precedente.
E anche se, a voler essere sinceri, l'opera é di gran lunga preferibile a quell'accrocchio manieristico di "Penny sparkle" - l'ultimo disco dei Blonde Redhead - tanto non basta a farcelo piacere in toto. Perché a tratti, quasi a voler essere più realisti del re, la cifra stilistica è clonata dai Blonde Redhead; e se ciò da una parte potrebbe fare onore a Gismondi & co., dall'altra sminuisce un po' il giudizio nei loro confronti. Perché un disco del genere é l'ennesima dimostrazione di come si possa andare oltreconfine senza timori reverenziali e si possa poi primeggiare scavalcando persino i "modelli". Bastava solo rischiare un po' di più, anche solo a livello di produzione artistica, optando per sonorità meno convenzionali quando l'ombra della band di casa 4AD diventa ingombrante. Se contiamo infatti "Blossom", "Real life", "The backdoor", "Divine", "Any trace of love" e l'iniziale "Vancouver", le somiglianze stilistiche sono a tratti imbarazzanti. Eppure si tratta di gran belle canzoni, scritte, suonate e arrangiate meglio degli originali.
In conclusione, non si tratta di una bocciatura, sia chiaro, ma di un invito a prendere coscienza delle proprie potenzialità per spiccare il (meritato) volo.
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La recensione Comme un flux di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-03-25 00:00:00
COMMENTI (1)
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