Più che "venduto", Fedez è scontato: rime banali, critiche basate su luoghi comuni, facili ritornelli pop e autotune come se piovesse.
L'attesissimo disco di Fedez, il primo disco da “venduto”, così venduto che lo regala. Un fenomeno importante, l'espressione massima della potenza del web, che supera passaggi in radio e in televisione, produzioni con budget importanti e raccomandazioni.
Il 26 novembre, Fedez ha pubblicato il video di “Jet Set”. Esattamente una settimana dopo, siamo a un milione di click. Numeri da record, e scattano le polemiche e le accuse secondo cui Tanta Roba – l'etichetta di Guè Pequeno e Dj Harsh con cui Fedez ha firmato – avrebbe “comprato” le visualizzazioni. Non sono un esperto, ma credo sia piuttosto improbabile: tempi troppo ristretti e costi troppo alti. Molto più verosimile che un milione di youtubber abbiano ascoltato il singolo di Fedez perché è facile (troppo), orecchiabile, e perché l'hype intorno a lui è davvero alto, lo dimostrano i live sold out e la coda chilometrica (nel senso che era lunga davvero un chilometro buono) alla presentazione milanese dell'album. Resta però da vedere se l'hype sia realmente giustificato. E qua la risposta è più difficile: Fedez è sicuramente fresh – sia per quanto riguarda l'immagine che i suoni - non si prende troppo sul serio, riesce a parlare con semplicità di argomenti difficili coinvolgendo un pubblico di giovanissimi, ed è un tipo alla mano, sempre umile e disponibile con i fan, perché ha capito che l'interazione diretta - nell'epoca 2.0 - è tutto.
“Il Mio Primo Disco da Venduto”, però, non può davvero essere considerato un bel disco. I beat sono impeccabili, vari - dal dubstep di “Intro” e “Ipocondria” al punk rock di “Alza la Testa” con J-Ax fino alla alla dance di “Jet Set” e “Una Cosa Sola” con Danti – e d'impatto, e l'approccio di Fedez rompe definitivamente con la tradizione. Fino a qui tutto bene quindi. È che sopra le strumentali cade una pioggia di faciloneria, critiche fatte di luoghi comuni, rime facili, e quando finisce il disco ti rimane la stessa sensazione di quando mangi le pappardelle di 4 Salti in Padella: buone eh, ma che cazzo hai mangiato? Orribili ritornelli pop e abuso di autotune si accompagnano a rime tipo “Perché nessuno ancora ha detto a Flavio Briatore che andare in giro col Pareo è un po' da ricchione” o “Questa è la mia strada non la tua, e chi consiglia troppo la strada agli altri poi può perdere la sua”, e più che venduto, il disco risulta scontato. E in qualche modo artefatto, fatto apposta per accontentare e soddisfare le esigenze dei palati più pigri. Come i 4 Salti in Padella, appunto. Fedez critica i costumi dei giorni nostri senza la cruda lucidità (e nemmeno le metriche) dei Club Dogo, gioca con ritmi e parole senza l'ironica poesia di Dargen D'Amico, e parla di società e politica senza la profondità (ma qui per fortuna con almeno della raffinatezza metrica in più) degli Assalti Frontali.
Complice l'età – sia chiaro – ma “Il Mio Primo Disco da Venduto” risulta ancora troppo immaturo e in qualche modo piatto, come se non ci fosse una direzione precisa. Ma per uno street album, alla fine, glielo si può perdonare, e il mio “Primo Disco da Venduto” va bene così. Per il suo primo disco in vendita, però, vogliamo di più.
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La recensione Il mio primo disco da venduto di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-12-05 00:00:00
COMMENTI (4)
una cagata fuori dal comune
Vedere album del giorno questo sopra a quello di Mirai mi ha provocato uno smottamento intestinale. Sappiatelo.
tra le ovvietà ti sei dimenticato di dire che non ha l'originalità di kool herc, la credibility di method man, lo spessore di common e il seguito di kenya west.
e che non ci sono più le mezze stagioni
e che quando c'era lui i treni arrivavano in orario
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