Dieci storie di eroi. Un album, a dir poco, intenso
Ricordo, forse in maniera confusa.
Io non ero lì quando l'atleta, contravvenendo alle convenzioni, sostenne la famosa rivolta antirazzista. Non ero tra il pubblico, né tra i partecipanti, ad ammirare il calciatore che conosceva la democrazia e l'autogestione. Né mai conobbi il pilota che divenne simbolo della protesta che gli salvò la vita.
Eppure ricordo.
Non solo storie di comandanti o capitani, sebbene ci sia posto anche per loro, per le loro identità mutate e mutevoli. I cunicoli sotterranei della storia sono come immensi caleidoscopi: in ogni tassello di vetro colorato possiamo rintracciare visioni, personalità multiformi. Soldati qualsiasi che pure denunciarono la presunta guerra al terrore, e stravaganti archeologi spaziali. A sigillare nella memoria eventi che non ho mai vissuto, provvederanno le mie mille letture, le successive esperienze, e il disco dei Wu Ming Contingent.
“Bioscop” non è l'album da ascoltare in maniera distratta, non una colonna sonora da tenere in sottofondo: la voce dei protagonisti delle dieci storie narrate nei brani si impone con coerente convinzione. Tuttavia non dovete pensare ad un lavoro eccessivamente serioso: pur nell'assoluta e incisiva profondità del messaggio, ironia e sarcasmo sono le lenti d'ingrandimento puntate verso gli aspetti grotteschi della realtà, sapientemente mostrati come tali. È la musica a sostenerne l'impeto, con una possente e consapevole miscela sonora che scuote i corpi in maniera frenetica. Non un comizio intellettuale, ma il tentativo perfettamente riuscito di rendere vivide e le vicende di uomini ed eroi non sempre riconosciuti dai canoni ufficiali. Poter ballare al ritmo di questa gioiosa rivoluzione artistica è la sensazione magnifica che ne consegue.
Forte è l'impronta di un punk primordiale e diretto in pezzi come “Soldato Manning” o in un brano come “La notte del Chueco”, uno dei più coinvolgenti dell'album: la voce – altrove volutamente priva di variazioni significative - vira verso il cantato accantonando per un lasso di tempo pur breve le modalità espressive che richiamano alla memoria gli Offlaga Disco Pax. È invece tipicamente new wave l'impostazione di “Socrates”: il basso palleggia toni scuri e decisi. Sulla stessa linea, “Cura Robespierre” propone un drastico e interessante rimedio contro la volontà di non prendere posizione. “Peter Norman”, fonde in sé i due principali filoni sonori del disco, ammiccando ai Joy Division quanto agli Stooges. Accattivante è l'apporto del sax in “Italia mistero Kosmico”, nella divertente “Dio Volcano”, oppure, seppur in modalità diverse, i fiati hanno un ruolo fondamentale in “Spettro”, con la lentezza necessaria alle narrazioni epiche.
Mi colpisce in maniera particolare il fatto che entrambi i pezzi che concludono la sequenza incisa sui due lati del vinile abbiano in comune l'estrema nudità degli arrangiamenti, ridotti (quasi) esclusivamente alla sola sezione ritmica, cuore pulsante di fervido furore. “La rivoluzione non sarà trasmessa su Youtube”, rivisitazione del brano di Gil Scott-Heron, denuncia l'assurda convinzione di poter affidare la possibilità ai mezzi telematici e non alla presenza del proprio corpo. “Stay human” è un doveroso omaggio a Vittorio Arrigoni, che dalla Striscia di Gaza dichiarava la propria volontà di resistere agli orrori preservando la propria natura umana ed esortando altri a fare lo stesso, con un invito da non confondere con ulteriori sollecitazioni, come quelle provenienti da “un venditore di smartofoni” che auspica la fame per i rampolli dell'Occidente ben nutrito.
L'unica fame ammessa, alla fine di ripetuti ascolti, è quella che deriva dai maldestri fremiti che “Bioscop” procura: osservare con occhi spalancati le ambiguità del mondo, festeggiare le derive festose dei suoni netti e rudimentali, attendere impazienti il seguito di un album tanto intenso.
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La recensione BIOSCOP di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-05-01 00:00:00
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